Li aspettavano da più di trent’anni. Venerdì 22 novembre il governo guatemalteco ha consegnato ai rispettivi familiari i resti di sei indigeni poqomchí, desaparecidos durante il conflitto armato che ha martoriato il paese dal 1960 al 1996. Gli scheletri erano stati rinvenuti nel maggio 2012 presso la caserma militare di Cobán, capoluogo del dipartimento Alta Verapaz, regione al confine con il Messico. Nella fossa c’erano 64 corpi, bendati, le mani legate dietro la schiena, la bocca piena di stracci.
La restituzione delle spoglie é avvenuta a Pambach, piccolo villaggio indigeno a circa due ore da Cobán. A ricevere il corpo di Baldomero Chiquin c’era il padre,Celso, 76 anni. Il figlio gli é stato consegnato dei funzionari del Pnr, Programma nazionale di risarcimento, in un pacco di cartone, assieme ad una bara di legno, una lapide in marmo, alcuni ceri ed una lettera di condoglianze prestampata.
Con Celso c’era tutta la comunità, circa trecento persone. Dalla piccola chiesa, dopo la messa, sono partite sei processioni. Ogni famiglia ha organizzato una lunga veglia presso la propria abitazione, invitando gli amici ed i vicini. Alla cerimonia hanno assistito alcuni rappresentanti di associazioni di familiari di vittime di sparizioni forzate provenienti da altri dipartimenti. Anche loro sperano un giorno di poter dare una degna sepoltura ai propri cari. Come Margarita e Matilde, che hanno ritrovato Santiago, marito e figlio, rapito dall’esercito nel 1982 assieme al figlio di Celso.
A risultare decisiva é stata la prova del Dna, effettuata dalla Fafg, Fondazione di antropologia forsense del Guatemala. In funzione dal 1997, si occupa di esumazioni riguardanti gli omicidi comuni, i distrastri naturali e la guerra civile. Fino al 2010 ha invididuato 1169 casi di sepoltura clandestina riconducibili ad episodi del conflitto armato. In alcune circostanze si é trattato di fosse comuni contenenti fino a 220 corpi.
Ed é toccato agli scienziati della Fafg aprire i pacchi e riordinare le ossa dentro le bare, davanti agli sguardi persi dei familiari. Ad assistere alla scena, nell’unica stanza di una casa in legno e lamiera, molte donne e pochissimi uomini. La quasi totale assenza di maschi sopra i trent’anni, a Pambach come in molte altre comunità indigene della zona, é la conseguenza più evidente della guerra civile.
Considerata zona di passaggio dei guerriglieri, questa zona scarsamente accessibile é stata fin dagli anni settanta strettamente controllata dei militari. Un sistema di check-point a valle del paese impediva ai contadini di trasportare viveri in quantità eccessive, in modo da evitare che potessero rifornire gli insorti. Secondo alcuni ex guerriglieri della Urng, Unità rivoluzionaria nazionale guatemalteca, presenti alla veglia funebre, la strategia dell’esercito ha sortito l’effetto contrario. Molti contadini, non potendo più commerciare i propri prodotti, si sono avvicinati alla guerriglia, fornendo appoggio logistico e viveri. Alcuni si sono arruolati.
La strategia guerrigliera era polverizzare il conflitto. Agire cioé in piccoli gruppi di grande mobilità, in grado di colpire il nemico contemporaneamente su più fronti, dando l’impressione di operare con un numero di uomini maggiore dell’effettivo e sfiancare così il nemico.
La conoscenza del terreno e l’appoggio delle popolazioni erano fondamentali. Con il progressivo coinvolgimento degli indigeni del nordovest del paese la guerriglia ha dato l’impressione di poter prendere il sopravvento. Da qui la scelta, da parte dell’esercito, di limitare i movimenti nelle zone più calde del paese.
Nel 1982 il generale Rios Montt ha assunto con un colpo di stato la presidenza della Repubblica. Da subito ha implementato la politica della terra bruciata. L’annientamento cioé delle popolazioni indigene, sospettate, secondo la definizione di Mao, di essere l’acqua in cui i pesci, i guerriglieri, nuotavano.
La metà delle morti della guerra civile, circa centomila persone, si concentra in questo anno.
Così il 12 giugno 1982 l’esercito ha raggiunto anche Pambach. Il signor Francisco, sui sessant’anni, é stato testimone dell’accaduto. Radunati gli uomini davanti alla chiesa, l’esercito li ha caricati su di un furgone. Sono stati poi fatti scendere in un punto isolato della strada per San Cristobal Verapaz. Legati ed imbavagliati, sono stati uccisi con un colpo di machete alla testa.
Il signor Francisco porta ancora quel segno, su collo e nuca. Colpito malamente, si é finto morto ed é poi riuscito a buttarsi in un fosso senza essere visto. Raccolto da alcuni contadini é stato trasportato all’ ospedale San Juan de Dios, a Guatemala. Venerdì ha potuto vegliare Fernando, il cognato, che come lui era stato caricato sul furgone.
Durante la messa é salito sul palco ed ha raccontato, per l’ennesima volta, la storia degli uomini che gli stavano davanti, negli scatoloni. Alla fine ha esclamato una delle frasi più ripetute oggi in Guatemala. ¡Nunca mas! Mai più.
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