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    Spallate, trame segrete, riunioni riservate: le “congiure” a Londra per rimpiazzare Theresa May

    Con la conferenza del partito conservatore, si rincorrono le voci su chi vorrebbe rimpiazzare Theresa May nel governo britannico. Ma la data Brexit si avvicina, e anche per potenziali sabotatori e “traditori” dell’ultim’ora, il fattore tempo non sarebbe a favore

    Di Maurizio Carta
    Pubblicato il 18 Set. 2018 alle 13:20 Aggiornato il 9 Set. 2019 alle 17:38

    Anche nel Regno Unito, terminata l’estate, settembre è considerato spesso tempo di riflessione e progetti, specie in politica. È verso autunno che da questa parte della Manica i partiti fanno i conti all’annuale conferenza di partito.

    Li fanno con se stessi, con il loro sostenitori, con chi li guida e con chi vorrebbe sostituire il capitano al timone della nave su cui viaggiano. Tempo di tradimenti, dell’inaspettato che è sempre dietro l’angolo.

    “Tu quoque, Brute, fili mi!”, “Anche tu, Bruto, figlio mio!” ricordando Cesare che si rivolgeva a Bruto, suo traditore nella congiura, premesso sia vero o meno che queste parole siano mai state pronunciate. Ma poco importa, il senso è quello.

    Non bisogna mai dare per scontato che non accada, politicamente s’intende. Fra i componenti del partito Tory sono diversi gli scontenti e potenziali sabotatori. Ma altrettanti, e anche di più, sono i fedelissimi. Chissà se fra loro c’è anche qualche insospettabile pronto a organizzare la congiura di Cesare in salsa moderna.

    Ed è così che come in ogni partito politico che si rispetti, non mancano spallate, trame segrete, riunioni lontane dai riflettori, piccole e grandi correnti del partito che tramano per racimolare consenso e numeri per attraversare il ponte tibetano che porterebbe alla leadership. Ma chi sarebbero gli sfidanti complottisti?

    Boris Johnson, l’eterno sfidante

    Un nome sovrasta il resto. È il più riconoscibile di tutti, per le strade di Londra e all’estero. Il biondo Borish Johnson, dimissionario Ministro degli Esteri del governo di Theresa May lo scorso giugno in disaccordo sul piano Chequers per il dopo Brexit.

    Dal giorno delle dimissioni, il biondo londinese, si è mosso in tutte le sedi per screditare Theresa May, ed è diventato di diritto il timoniere degli scontenti, il Masaniello dei sovranisti in salsa british.

    Per i Brexiteer, il piano viene etichettato come un tradimento, con troppi legami che rimarrebbero con Bruxelles dopo il divorzio venendo meno al risultato referendario e all’ambita riconquista della piena sovranità.

    Borish Johnson sarebbe il capofila fra gli sfidanti, quello che oggi rappresenta meglio la fazione più di destra partito, euroscettica da sempre (per usare un eufemismo) e in aperto contrasto con il governo in carica, di cui sino a pochi mesi fa ha fatto parte con pedine del calibro di David Davis, ex ministro incaricato ai negoziati con Bruxelles.

    Boris prende parte a cene, riunioni, conferenze e non perde mai l’occasione di dire ciò che pensa, anche in maniera molto colorita. Ha applaudito Theresa May, l’ha criticata, l’ha riapplaudita, elogiata e sostenuta per poi nuovamente voltargli le spalle e ripartire all’attacco.

    Non sarebbe una notizia per la signora May ritrovarselo sul ring della disputa per diventare l’inquilino del n°10 di Downing Street. Boris Johnson non sarebbe un Bruto.

    I punti a favore di Theresa May, il poco tempo a disposizione e i numeri

    I Brexiteer non sono riusciti a proporre un piano Brexit alternativo a quello ufficiale del governo May che l’Ue possa prendere in considerazione, in particolare una strategia che contenga una soluzione alternativa e soprattutto praticabile per il confine irlandese.

    Il secondo grande vulnus degli ortodossi della Brexit è che non hanno i numeri per rimuovere Theresa May e fare sedere una loro pedina di fiducia a Downing Street.

    Quest’ultimo passaggio è infatti non di poco conto, e si snoda in due delicatissime fasi e regole ben precise.

    Infatti, in un primo passaggio nell’operazione per disarcionare Theresa May, almeno 48 parlamentari conservatori dovrebbero scrivere la lettera di sfiducia e poi consegnarla al presidente della Commissione 1922, quella competente per la leadership del partito, presieduta da Graham Brady.

    Qualora sia raggiunto questo quorum, i Brexiteer devono radunare 158 deputati per votare contro la loro leader. Se non saranno in grado di raggiungere questi numeri per battere Theresa May, allora il piano fallirà e secondo le regole, la leadership non potrà essere  rimessa in discussione per altri 12 mesi.

    Ma se anche dovesse sopravvivere per un solo voto o per cento, sarebbe senz’altro un duro colpo per la stabilità del partito e per l’immagine del governo agli occhi della controparte europea al tavolo dei negoziati.

    Un governo che ha bisogno mai come adesso di unità nella strategia, specie se per negoziare con l’Unione Europea non è rimasto tanto tempo e sprecarne altro per la corsa al nuovo premier sarebbe pura follia.

    “Tu quoque, Brute, fili mi!”. No, non c’è tempo, nemmeno per le congiure, anche se democratiche.

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