Sono le 4 di notte, io e mia moglie siamo seduti a terra, con le spalle appoggiate al divano, dove dorme nostra figlia. Lei un computer, io un altro: non riusciamo, né vogliamo riposare. Abbiamo seguito la valanga di notizie delle ultime ore, cercando di capire cosa fosse accaduto quando, ignari del perché, ci siamo messi a correre verso casa, consci che le sirene di ambulanze, pompieri e polizia stessero raccontando qualcosa di molto grave.
Come ogni 14 luglio, abbiamo trascorso la serata in compagnia di amici sulla Promenade des Anglais, una delle strade più belle al mondo. E, come di consueto, intorno a noi vi erano decine di migliaia di persone, anzi di più, centinaia di migliaia: tutti gruppi di amici o di parenti per quella che è la festa “in famiglia” per eccellenza. Su quel bel lungomare, ogni anno, prima si tengono vari concerti e dopo comincia della musica per ballare in strada. Si potrebbe dire che è una festa lunga alcuni chilometri, perché la Promenade abbraccia tutta la Baie des Anges, al cui centro, nella ricorrenza della presa della Bastiglia, coi colori si celebra la libertà conquistata più di due secoli fa.
La particolarità di questa festa rende la strage di stasera ancora più abominevole di quella al Bataclan: a Parigi le vittime erano giovani che stavano divertendosi, qui sono delle famiglie con bambini. Verosimilmente di diverse nazionalità.
Stasera il nostro gruppo era di una decina, compresi tre bambini di 1 e 2 anni. Abbiamo visto i fuochi d’artificio, belli e vividi, grazie al vento che ripuliva l’aria dal fumo. Proprio il vento, però, ci ha fatti allontanare dal mare verso le strade più riparate del centro storico, così, appena terminato lo spettacolo, ci siamo salutati e ciascuno s’è incamminato verso casa propria.
Percorrendo Nizza Vecchia, ad un certo punto abbiamo sentito delle voci concitate e, soprattutto, abbiamo incrociato parecchia gente che procedeva a passo svelto, poi sempre più veloce, fino a correre.
Ci siamo fermati per non essere travolti e abbiamo pensato immediatamente ad un attentato (perché in Francia è un riflesso condizionato dal gennaio 2015), ma non avevamo sentito alcuno sparo, nessuna esplosione, nessun rumore sospetto, quindi ci siamo detti che forse era panico collettivo, magari dovuto al tavolino di un bar fatto cadere dal forte vento. Eppure quel movimento umano continuava e, anzi, si diffondeva, per cui, senza più pensare, ho preso in braccio il passeggino con mia figlia e, insieme a mia moglie e i nostri ospiti, abbiamo cominciato ad allontanarci velocemente anche noi.
Conosciamo bene la zona, per cui abbiamo evitato di imbottigliarci nei vicoli, preferendo una strada più ampia e diretta verso casa, che comunque non è molto distante. All’incrocio successivo, però, proprio davanti a noi un tonfo e alcune persone che cambiavano direzione di corsa. In quel momento gli occhi sono andati in tutte le direzioni, cercando un qualche riparo per capire cos’era stato e, pertanto, cosa era meglio fare.
Ci siamo fermati dietro una casetta di legno del parco verde che stavamo attraversando, e ci siamo persuasi che questa volta era stato realmente il vento, per cui abbiamo proseguito, seguendo altre persone nella nostra stessa direzione. Quando, però, il gestore di un bar mi ha chiesto se stessimo tutti bene, a quel punto ho cominciato a preoccuparmi: mi sono accorto delle lacrime di alcune ragazze e ho captato alcune frasi di persone al telefono.
In pochi istanti, tuttavia, siamo arrivati a casa e ci siamo attaccati alle news. Su Twitter qualcuno alludeva ad un attentato, ma non gli ho creduto, perché le fonti più autorevoli scrivevano di un incidente. Così abbiamo avvertito i parenti in Italia, dicendo appunto che nel caso avessero sentito di un problema a Nizza, noi stavamo bene e forse non era nulla di grave. In realtà le ambulanze procedevano a sirene spiegate, ma ancora non era chiaro alcunché. Soprattutto, non volevo credere a quel che temevo.
E tutto questo è durato fin quando quel panico si è mostrato reale e giustificato: un camion di 15 metri è piombato sulla folla e ha proseguito, pare, per 2 chilometri zigzagando e sparando. L’autista/attentatore è stato ucciso, ma non è chiaro se avesse un complice e, eventualmente, se questi si sia dileguato.
Noi siamo salvi e al sicuro, ma adesso ripenso a quei minuti di fuga e mi domando perché non abbia corso prima e più velocemente. Mi sono accorto di aver voluto preferire, più volte, una possibilità innocente come il forte vento ad un’altra ipotesi ben più spaventosa. Forse è normale allontanare da sé il pensiero angosciante, ma sicuramente non si può evitare l’angoscia retroattiva. Specie ora che vedo certe fotografie.
A cura di Giovanni Gugg, antropologo italiano che vive a Nizza