L’afflusso di milioni di rifugiati siriani in Europa molto probabilmente creerà una nuova fonte di radicalizzazione che potrebbe aumentare il numero di estremisti violenti tra i profughi e portare ad altri atti di terrorismo nei paesi ospitanti.
Gli attacchi terroristici potranno diminuire in termini numerici, di frequenza e di impatto oppure saranno resi sempre più acuti dopo che si saranno insediati in modo permanente, dipende da quanto tempo i rifugiati passeranno nei campi e dal modo in cui verranno trattati.
I paesi ospitanti devono utilizzare metodi speciali per scongiurare l’infiltrazione di estremisti violenti tra i rifugiati e mettere a punto un piano per contrastare l’estremismo violento che coinvolga tutti gli aspetti della deradicalizzazione.
I paesi ospitanti non hanno altra scelta che fare questo, perché un singolo attacco avrebbe un costo enorme in termini di vittime e di distruzione, per non parlare della paura, del panico e dell’impatto economico che colpirebbero la comunità. Gli attacchi di Parigi e Bruxelles parlano da soli.
Per raggiungere i propri obiettivi, i paesi ospitanti devono considerare ogni aspetto di ciò che i rifugiati hanno passato, sia dal punto di vista fisico che psicologico, e devono valutare attentamente l’impatto a breve e lungo termine che ogni misura avrà sull’atteggiamento mentale dei rifugiati per ridurre le loro ansie e consentirgli di affrontare serenamente questo nuovo capitolo nelle loro vite.
La sicurezza interna nei campi e la raccolta di materiale d’intelligence devono ricevere la massima considerazione. Tuttavia, occorre precisare che le operazioni di polizia e l’intelligence da soli non bastano se non sono coniugati con altre misure preventive.
Innanzitutto, i paesi ospitanti devono giudiziosamente riflettere sullo shock che quasi ogni rifugiato subisce nel momento in cui è improvvisamente e spesso forzatamente rimosso dalla propria casa, lasciando indietro i suoi beni, la sua famiglia e i suoi amici, per non parlare del trauma emotivo di non sapere cosa lo aspetta.
Per alleviare questo trauma individuale e collettivo, le autorità locali devono fornire supporto psicologico ai rifugiati, e in particolare alla fascia di età tra i 15 e i 25 anni, i giovani più suscettibili di essere radicalizzati e diventare preda di gruppi estremisti che li reclutino mentre stanno aspettando di essere ricollocati.
Oltre a ciò, devono essere impegnati in attività positive, come aiutare nei campi e svolgere attività amministrative, per sentirsi utili e importanti, cosa che gli aiuterebbe a riguadagnare stima in se stessi.
Dovrebbero disporre di occasioni per socializzare, inclusi corsi professionali, attività sportive e istruzione, non solo per alleviare il trauma che hanno subito ma anche per cominciare il processo di adattamento a una nuova e produttiva esistenza.
L’istruzione, però, non dovrebbe essere limitata solo ai giovani. Gli insegnanti dovrebbero frequentare corsi di formazione per contrastare la radicalizzazione e ideare dei curricula che mostrino i lati negativi dell’estremismo violento.
Inoltre, le famiglie dei ragazzi e delle ragazze dovrebbe essere coinvolte nel processo educativo, dato che i genitori stessi potrebbero avere idee estremiste a causa delle amare esperienze che hanno fatto.
L’indolenza e la noia nutrono l’odio, il risentimento e l’impazienza. I giovani devo sapere a che punto sono le loro domande di asilo e quando le procedure termineranno, devono sapere cosa gli aspetta una volta usciti dai campi e quali mezzi gli verranno forniti per condurre una vita dignitosa insieme alle loro famiglie.
È stato documentato che più a lungo i rifugiati restano nei campi, maggiore è il rischio di radicalizzazione, fenomeno che si aggrava nel caso di campi sovraffollati, insalubri e isolati dal mondo esterno.
Nel corso degli anni passati, molti rifugiati palestinesi in Libano e Giordania, così come i rifugiati afghani in Pakistan negli anni Novanta, si sono radicalizzati e oggi assistiamo all’emergere di un fenomeno simile tra i rifugiati siriani.
Anche se l’applicazione della legge è di grande importanza per prevenire violenze e attività criminali, gli agenti di polizia non devono trattare i giovani trasgressori con durezza ed essi non devono subire abusi.
Intraprendere azioni punitive sproporzionate rispetto alla gravità del crimine commesso, può nutrire il risentimento e portare a nuovi crimini violenti e alla radicalizzazione.
Per ridurre sensibilmente i livelli di crimine, le autorità devono anzitutto condurre degli studi sul campo, lanciare dei programmi di prevenzione e coinvolgere i rifugiati in un dialogo: ascoltare e riconoscere le loro preoccupazioni e fare ogni sforzo possibile per soddisfare le loro legittime richieste.
Ciò è importante perché i rifugiati devono constatare, attraverso incontri giornalieri, che la comunità che li ospita sta facendo del suo meglio per sostenerli e per alleviare il loro dolore e le loro preoccupazioni.
Una presenza costante diventa una fonte importante per raccogliere informazioni circa attività radicali, complotti terroristici e il reclutamento da parte di organizzazioni estremiste come l’Isis.
I paesi ospitanti devono usare i social media per diffondere narrative che contrastino le voci degli estremisti violenti che cercano di attirare tra i loro ranghi i giovani.
Queste narrative non devono essere propagate solo dalle istituzioni, dato che molti rifugiati potrebbero interpretarlo come egoistico e ingannevole.
Devono essere coinvolte anche figure religiose, imam e altri individui tenuti in alta considerazione all’interno della comunità dei rifugiati.
Usare una contro-narrativa religiosa è essenziale perché le organizzazioni islamiste radicali utilizzano precetti religiosi estremi, per quanto artificiosi, per attirare a sé i giovani.
I credenti non hanno bisogno di dimostrare che operano secondo la volontà di dio. Per questa ragione, le narrative religiose violente devono essere contrastate solo attraverso gli insegnamenti dell’Islam moderato, con un’enfasi particolare sulle tradizioni non violente e le virtù morali dell’Islam.
Ci sono altri due fattori importanti da prendere in considerazione nello sforzo per minimizzare la radicalizzazione nei campi rifugiati.
Il primo è la prossimità dei campi profughi ai paesi di origine, che permette il traffico di armi e droghe, e l’infiltrazione di estremisti violenti, i quali rimangono inattivi fino a che non sono pronti a commettere atti di terrorismo nei paesi ospitanti e negli stati confinanti.
Ciò richiede che vengano convogliate maggiori risorse verso la polizia per monitorare i punti in cui è possibile attraversare il confine e condurre controlli e registrazioni attente e puntuali. Tuttavia, e per quanto siano necessarie, queste procedure non devo essere arbitrarie né costituire abusi.
Bisognerebbe incoraggiare la collaborazione volontaria dei membri delle comunità di rifugiando creando canali sicuri per denunciare attività sospette.
Dato che la stragrande maggioranza dei rifugiati sono vittime delle circostanze, devono essere trattati con umanità e con grande sensibilità.
Gli stessi estremisti violenti possono essere disarmati mostrando compassione e comprensione verso l’intera comunità di rifugiati e trattandolo umanamente e con rispetto.
In secondo luogo, la necessità di provvedere ai bisogni quotidiani dei rifugiati può innescare tensioni con le comunità locali, specialmente se sono povere e non hanno accesso ai servizi che sono forniti invece ai rifugiati, come sanità e istruzione.
Per questa ragione, i paesi ospitanti devono assicurarsi che le comunità limitrofe non siano trascurate per fornire aiuti ai rifugiati.
È ovvio che ignorare le comunità locali può istigare conflitti violenti tra esse e le comunità di rifugiati e può portare alla radicalizzazione dei giovani rifugiati in particolare. Questi incidenti sono stati documentati in Giordania, Turchia e Germania.
Perciò, i paesi ospitanti devono considerare attentamente dove costruire i campi profughi e quale impatto potrebbero avere sulle comunità locali.
Le misure descritte sopra potrebbero ridurre sostanzialmente le probabilità di infiltrazione tra i rifugiati di estremisti violenti o di radicalizzazione di giovani nei campi profughi, ma non eliminarle del tutto.
È necessario che i paesi ospiti continuino il processo di deradicalizzazione, specialmente attraverso l’integrazione una volta che i rifugiati sono stati ricollocati.
Come e dove ricollocare i rifugiati è un fattore importante che ha effetti di lungo periodo sull’assorbimento e l’integrazione. È naturale che le persone provenienti dallo stesso contesto, che condividono le stesse orribili esperienze, graviteranno l’una intorno all’altra, ma i paesi ospiti devono evitare di concentrare migliaia di rifugiati in una sola località perché questo impedirebbe l’integrazione col resto della società.
Ondate precedenti di immigrati musulmani che si sono stabiliti a Londra, Bruxelles, Parigi e altre città europee forniscono esempi eloquenti di queste comunità insulari.
Le famiglie devono certamente essere tenute unite, ma i paesi ospitanti devono evitare di creare situazioni che impediscano l’integrazione, che è un elemento centrale per la deradicalizzazione.
Imparando dalle esperienze del passato, i paesi ospitanti devono concentrarsi sui giovani e integrarli nelle comunità locali attraverso attività che coinvolgano anche i giovani delle comunità locali.
È molto importante insegnare la lingua parlata nei paesi ospitanti per consentire loro di frequentare le scuole locali, fornire consulenza a coloro che ne hanno bisogno e offrire l’opportunità di accedere a corsi professionali.
Inoltre ai giovani deve essere fornita un’esperienza formativa olistica che comprenda gli aspetti cognitivi, affettivi e pratici per aiutarli a recuperare un senso di autostima e contrastare l’indottrinamento.
Un altro aspetto importante è consentire ai giovani di familiarizzare con il paese di arrivo attraverso gite, coinvolgendo i giovani autoctoni, ed esplorare il nuovo paese. Quest’attività consente a questi giovani uomini e donne di sviluppare un senso di appartenenza.
Le organizzazioni non governative possono giocare un ruolo costruttivo nell’accelerare il processo di assorbimento e integrazione offrendo, per esempio, tirocini e altri lavori d’ufficio che possano avvalersi dei talenti di questi giovani e consentendogli al contempo di imparare e adattarsi al nuovo ambiente lavorativo.
I paesi ospitanti devono assicurarsi che le prigioni non diventino incubatrici per la radicalizzazione. L’estremismo violento persisterà per lungo tempo e potrebbe incrementare drammaticamente il numero di estremisti nella popolazione carceraria, a un costo proibitivo.
Per contrastare questo fenomeno, le autorità devono sviluppare programmi di riabilitazione ad hoc, dato che i detenuti riabilitati possono servire da modelli per deradicalizzare altri individui, specialmente giovani a rischio.
In ultimo, è estremamente importante coinvolgere le comunità di rifugiati in progetti di sviluppo sostenibile di loro scelta, finanziati dallo stato.
Questo tipo di progetti consentono ai rifugiati di sviluppare un senso di orgoglio e di realizzazione, e forniscono opportunità lavorative, oltre a gettare le fondamenta dell’autosussistenza e della produttività.
Progetti partecipativi richiedono istruttori, facilitatori e organizzatori che devono essere inizialmente nominati dai paesi di origine ma alla fine essi dovranno essere gestiti dai membri delle comunità stesse e alimentati dalle loro risorse creative.
Non serve ricordare che adottare queste misure è più facile a dirsi che a farsi, ma dato che l’estremismo violento non farà che infettarsi sempre più, i paesi ospitanti non hanno altra scelta che investire tempo e risorse per mitigare le difficoltà dei rifugiati, a partire dai campi profughi e proseguendo durante il processo di ricollocamento.
I paesi ospitanti non possono riempirsi la bocca di parole e mettere a disposizione pochi fondi. Ogni governo che si impegni nella deradicalizzazione di giovani uomini e donne deve investire, insieme a donatori privati e fondazione, quanto è necessario per fermare l’epidemia di estremismo violento.
Non ci sarà alcuna vittoria decisiva contro la radicalizzazione se le cause dietro l’estremismo violento non saranno sradicate nei paesi arabi e musulmani, dove milioni di giovani vivono nella disperazione perché non hanno prospettive di un futuro migliore e incolpano i poteri occidentali di essere la causa della loro situazione.
Inoltre, mentre l’estremismo violento può essere contenuto e anche sconfitto dai paesi occidentali attraverso le misure descritte sopra, l’ideologia dei gruppi come l’Isis non sarà sconfitta tanto presto.
Dobbiamo tenere a mente che mentre affrontiamo il fenomeno della radicalizzazione non possiamo permetterci di essere posseduti da essa o lasciare che mini i nostri valori politici e sociali, che sono le nostre armi migliori per sconfiggere l’estremismo violento.
— Analisi di Alon Ben-Meir, professore di relazioni internazionali ed esperto di Medio Oriente alla New York University
— Traduzione a cura di Paola Lepori
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