Il tempo sta per scadere. Sono passati ormai più di cinque giorni da quando due violenti terremoti di magnitudo superiore a 7.6 hanno colpito la Turchia meridionale e la Siria nord-occidentale. Il bilancio delle vittime – ormai superiore alle 30mila – continua a salire e gli aiuti internazionali cominciano appena a riversarsi nelle aree più bisognose. Il popolo siriano ha sperimentato tutto. Sono stati bombardati. Sono stati sfollati con la forza. Hanno fatto le spese di un conflitto che ha distrutto innumerevoli vite e i loro mezzi di sostentamento. E ora questo.
Uno dei partner di Save the Children in Siria ha detto a un mio collega: «Nel 2013 una bomba ha colpito la mia casa. Mio padre è morto ed è rimasto sepolto sotto le macerie… ma questo terremoto è stato ancora più spaventoso. Non posso dire quanto sia durato a causa del dolore, della paura e della rabbia che ho provato. Tutta la vita mi è balenata davanti agli occhi ed ero raggelato dalla paura. Ho guardato mia moglie e i miei figli mentre il palazzo tremava e mi sono sentito del tutto impotente».
Questa straziante testimonianza mostra l’orrore che sta sperimentando oggi il popolo siriano. Questo va ad aggiungersi agli ultimi 12 anni, che sono stati un incubo da cui il popolo siriano non è stato in grado di ridestarsi.
Ogni volta sono i sopravvissuti a questi orrori – molti dei quali sono essi stessi operatori umanitari impegnati in prima linea – i primi a intervenire. Nell’ultima settimana, abbiamo visto tutti le immagini dei sopravvissuti in Siria e Turchia tirare fuori dalle macerie i propri vicini. Fratelli e sorelle che si proteggono a vicenda fino all’arrivo dei soccorsi. Soccorritori locali che scavano tra le macerie a mani nude o con qualsiasi mezzo che riescono a trovare nella speranza di trovare qualcuno ancora in vita. Persone che utilizzano vecchi furgoni malridotti per portare aiuti e generi di prima necessità alle famiglie che ne hanno bisogno.
Gran parte degli sforzi ricadono alla fine sui membri delle comunità colpite da queste crisi e sulle associazioni locali presenti in territori dove le organizzazioni globali normalmente non intervengono. Loro sono quelli che resteranno sempre sul campo e che porteranno a termine il lavoro, molto tempo dopo che l’attenzione mediatica si sarà esaurita.
Abbiamo già visto come le comunità locali abbiano fatto fronte comune per aiutare i bisognosi. Un uomo a Idlib ha detto a un nostro partner locale che sua moglie era disposta ad allattare qualsiasi bambino che avesse perso la madre. Un altro si è offerto di ospitare altre famiglie nelle sue due case che non sono crollate. Altri hanno messo a disposizione attrezzature e macchinari per scavare tra le macerie. Alcuni hanno distribuito cibo per le strade e c’è stata una vera e propria corsa alle donazioni quando gli ospedali hanno chiesto di donare il sangue.
Questi terremoti rappresentano il più grande disastro naturale ad aver colpito la regione negli ultimi decenni e si stanno trasformando in una delle peggiori crisi umanitarie degli ultimi anni, creando bisogni su una scala senza precedenti. Secondo le Nazioni Unite, solo il 5 per cento dei siti e delle città colpite nelle aree controllate dall’opposizione in Siria nord-occidentale è interessato da operazioni di ricerca e soccorso, ma gli sforzi continuano in tutte le zone del Paese coinvolte dal disastro. Gli edifici che hanno resistito agli incessanti bombardamenti nei peggiori anni del conflitto sono ormai completamente crollati.
Questo ci dice quanto sia urgente finanziare e sostenere chi è in grado di inviare più rapidamente gli aiuti. In una corsa contro il tempo, l’imperativo umanitario di salvare quante più persone possibile ci impone di fare tutto ciò che è in nostro potere per ottenere fondi e risorse a favore dei gruppi e delle associazioni locali impegnate in prima linea e che stanno salvando vite umane. Questo finanziamento deve avvenire in modo rapido, dovrebbe essere il più diretto possibile ed essere mantenuto nel tempo affinché le comunità possano prima o poi ricostruire e riprendersi.
Aumentare gli aiuti è urgente. Si profila una seconda ondata di crisi, che potrebbe portare ancora più morte e distruzione. Quest’anno eravamo già sulla buona strada per registrare i più elevati tassi di fame in tutta la Siria dall’inizio del conflitto. Aggiungete a questo la mancanza di un rifugio e dell’accesso a fonti idriche pulite e i servizi igienici andati distrutti e avrete un terreno fertile per malattie trasmissibili attraverso l’acqua come il colera, che già l’anno scorso rappresentava un serio problema in Siria. Ora è più importante che mai sostenere chi è lì per restare.
Gli sforzi per portare gli aiuti sono già stati ostacolati dalle continue scosse di assestamento, dalle terribili condizioni meteorologiche, dai danni alle strade e agli aeroporti e dalla sospensione delle attività nei mercati locali. Ma non possiamo permettere che tali sforzi siano intralciati anche dalle diverse agende politiche. L’impatto umanitario di questo disastro è catastrofico e la finestra di opportunità per prevenire ulteriori perdite di vite umane si sta chiudendo rapidamente.
È arrivato il momento che i vari governi agevolino in ogni modo possibile l’erogazione degli aiuti a favore di chi può recapitarli alle popolazioni colpite dal terremoto. In tutte le aree della Siria interessate dal sisma, i valichi devono essere completamente aperti per consentire il passaggio dei rifornimenti e delle attrezzature di soccorso per chi ne ha bisogno. È necessario applicare apposite esenzioni per inviare fondi a scopo umanitario ai settori colpiti dalle sanzioni. E, cosa più importante, bisogna dare la massima priorità al finanziamento diretto di quelle associazioni locali attive in Siria e Turchia che sono – e sono sempre state – in prima linea.
Il futuro di circa 7 milioni di bambini colpiti dal sisma in Siria e Turchia è in bilico. Sta a noi rimediare.
Per supportare la risposta all’emergenza di Save the Children, puoi fare una donazione qui
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