Migliaia di persone in lutto hanno preso parte alla processione per il funerale dell’amatissimo cantante sufi ucciso a colpi di arma da fuoco dai Taliban pachistani mercoledì 22 giugno 2016 nella città di Karachi.
Amjad Sabri, 45 anni, era uno dei cantanti di “qawwali”, genere musicale religioso sufi, più popolari dell’Asia del sud.
I devoti si sono ammassati attorno all’ambulanza che trasportava il corpo di Sabri, impedendole di muoversi.
La morte del cantante è l’ultimo di una serie di attacchi mirati a Karachi, una megalopoli da 20 milioni di abitanti piagata da violenze di ordine politico, etnico e confessionale.
Il tasso di omicidi nella città è crollato dal 2013 dopo un giro di vite da parte dei ranger, una forza paramilitare, ma la paura è tornata a circolare dopo che lunedì è stato rapito il figlio del giudice a capo della Corte suprema Sindh Sajjad Ali Shah.
Due giorni dopo, alcuni uomini armati su una motocicletta hanno sparato al parabrezza dell’auto di Sabri, che stava percorrendo il congestionato quartiere di Liaquatabad nel sud della città. Un parente del cantante che si trovava nell’auto è rimasto ferito.
Un portavoce del ramo pachistano dei Taliban, Qari Saifullah Saif, ha rivendicato l’aggressione nella serata di mercoledì, dicendo che Sabri era stato ucciso per via di una canzone che il gruppo considera blasfema.
Nel 2014, il cantante era stato coinvolto in un caso di blasfemia a causa di una canzone sufi che aveva cantato durante uno show televisivo del mattino, che menzionava delle figure religiose in modo ritenuto offensivo.
A maggio, alcuni uomini armati avevano ucciso un attivista per i diritti pachistano, Khurram Zaki, conosciuto per la sua netta opposizione ai Taliban e ad altri gruppi radicali islamisti, nella parte centrale della città.
Ad aprile dello scorso anno, un’altra attivista, Sabeen Mahmud, era stata uccisa mentre viaggiava sulla propria auto.
(qui sotto alcune immagini di una performance del cantante sufi Amjad Sabri)