Quando è uscita l’immagine dei talebani nel palazzo presidenziale di Kabul, quelli armati con videocamere e smartphone erano quasi quanti quelli che agitavano kalashnikov minacciosamente. La guerra di oggi si combatte (anche) a colpi di cinguettii e il gruppo fondamentalista lo sa bene.
Gli islamisti eliminano l’empasse del filtro delle redazioni occidentali a cui prima inviavano i video delle esecuzioni in formato VHS, e parlano direttamente al grande pubblico. Come? Organizzano conferenze stampa. O telefonano ai giornalisti in diretta, come è successo alla conduttrice Yalda Hakim della Bbc chiamata dal portavoce ufficiale dei talebani, Shail Shaheen. Ma soprattutto fanno un uso smodato di Twitter.
Questo perché mentre Facebook ha deciso di bannare i talebani, così come era già successo per l’ex presidente Usa Donald Trump, Twitter è rimasto neutrale e non li ha censurati. La libera circolazione sulla piattaforma senza paura di ripercussioni è possibile anche perché i talebani non sono mai stati riconosciuti ufficialmente come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti.
E allora, via alla strategia dell'”immagine ripulita”, con ruoli ben definiti e comunicazioni di servizio. La presenza sui social media dei talebani è guidata da tre figure principali: Zabiullah Mujahid, portavoce dell'”Emirato islamico”, che ha oltre 320.000 follower su Twitter. Poi c’è M. Naeem, portavoce dell’ufficio politico a Doha, in Qatar, che ha oltre 218.000 seguaci, e infine Suhail Shaheen, talebano responsabile dei media stranieri, che ha oltre 350.000 follower. Insieme, i tre rappresentano la narrativa ufficiale dei talebani su Twitter.
L’ultimo tweet di Naeem è esemplificativo per capire il tono dei messaggi: “Assicuriamo a tutte le ambasciate, missioni diplomatiche, istituzioni e residenze di cittadini stranieri a Kabul che non vi è alcun pericolo per loro. Tutti a Kabul devono avere piena fiducia e le forze dell’Emirato islamico hanno il compito di mantenere la sicurezza a Kabul e in altre città del paese”.
La massa di dichiarazioni più consistente non proviene però dagli organi ufficiali, bensì dal forte impianto di propaganda online del quale i talebani si sono dotati. Cittadini all’apparenza comuni sono diventati megafono del volere Taliban su Twitter e Instagram. Si tratta di utenti che si presentano come giornalisti o personale umanitario e affermano che gli islamisti salveranno l’Afghanistan. Ahmad Yasir è uno di loro e oltre a cambiare regolarmente l’immagine del profilo, condivide anche vignette satiriche anti-americane.
Per quanto riguarda le comunicazioni interne, ovvero per rivolgersi alla popolazione afgana, i social non bastano. Ancora oggi in Afghanistan molte persone non sono connesse tramite smartphone: secondo la Banca Mondiale nel 2000 l’utilizzo di internet era allo zero per cento e nel 2018 ha raggiunto l’11,5 per cento. Questo consente ai talebani di optare per un misto di vecchie e nuove strategie.
L’esperto Kabir Taneja ricorda che uno dei modi più efficaci con cui i talebani hanno comunicato per anni con l’Afghanistan rurale è l’uso delle “lettere notturne” o shabnamah. Ovvero dei comunicati cartacei solitamente consegnati a mano durante la notte nei villaggi, dove si minaccia di morte o torture chi non rispetta i diktat del regime. Queste lettere, diventate popolari durante la guerra dei mujaheddin contro l’Unione Sovietica, sono il mezzo per intimidire la popolazione e controllarla, ma indorando la pillola: vengono citate poesie, tradizioni e testi musicali.
La svolta digitale dei talebani può essere fatta risalire al periodo 2005-2006, quando lanciarono online il sito Alemara. Sorpresa delle sorprese, Alemara è ospitato da Cloudflare, un provider di servizi online con sede a San Francisco. Ennesimo indizio del fatto che gli Stati Uniti non identificano i talebani afgani alla stregua di altri gruppi terroristici.
Ma se per parlare all’Afghanistan contadino il folklore e i siti rudimentali funzionano, verso l’esterno i social hanno il loro peso e Twitter è fondamentale. Soprattutto per il supporto internazionale che i talebani vogliono ottenere. Come spiega la ricercatrice Martine van Bijlert, i talebani stanno riservando enorme importanza alla comunicazione: “Sembra che abbiano uno staff dedicato ai media che accompagna i combattenti nelle azioni, o che almeno abbiano una ben precisa strategia di engagement dei media visto che la maggior parte dei video contiene messaggi di ordine e disciplina che vuole impaurire e rassicurare in egual misura”.
L’obiettivo è dare una parvenza di normalità all’Emirato Islamico dell’Afghanistan che hanno instaurato dal 15 agosto, perché sia così accettabile agli occhi della comunità internazionale. Ma, come ricorda il The Atlantic in un lungo articolo, i Talebani 2.0 non sono tanto diversi da quelli che uccidevano donne e bambini 20 anni fa. Dopo le promesse, gli spari: le primissime, timide, manifestazioni della società civile a Jalalabad contro l’occupazione talebana sono finite nel sangue. Una repressione destinata solo a peggiorare, nonostante i tweet rassicuranti dei Taliban.