La speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, alle 16 di ieri ora italiana – alle 22.00 di Taipei -, è atterrata a Taiwan. Si tratta della più alta carica Usa ad aver visitato l’Isola dal 1997. Un viaggio che accende l’ira di Pechino e fa alzare in volo i caccia cinesi al momento dell’arrivo dell’aereo Us Air Force. Ventisette, secondo il ministero della Difesa di Taiwan.
“La solidarietà da parte degli Stati Uniti nei confronti dei 23 milioni di abitanti di Taiwan oggi è più importante che mai. Il mondo deve scegliere tra autocrazia e democrazia”, aveva detto ieri la speaker specificando che la delegazione era arrivata a Taipei “per rendere chiaro in mondo inequivocabile” che gli Stati Uniti non abbandoneranno il loro impegno nei confronti dell’Isola. “Siamo sostenitori dello status quo, non vogliamo che nulla succeda a Taiwan con la forza”, ha detto Pelosi mentre si trovava al fianco della presidente Tsai Ing-wen che l’ha definita “un’amica devota” di Taiwan.
L’isola che si trova a circa 15 km a sud-est della Cina vuole, infatti, preservare il suo stato che è minacciato dalla Repubblica Popolare Cinese. Pechino vuole riunificarla. “È destinata a essere unificata”, ha scritto in una nota l’ufficio per gli Affari di Taiwan del governo cinese secondo il quale il processo è irreversibile.
L’AMBIGUITÀ STRATEGICA AMERICANA
Del 1949 è la conclusione della guerra civile cinese vinta dai comunisti di Mao Zedong. Viene proclamata così la Repubblica Popolare. A essere sconfitti sono i nazionalisti di Chiang Kai-Shek che si rifugiano sull’isola di Taiwan. Entrambi, però, da 73 anni affermano di essere l’unica autorità della Cina. Se nel resto del mondo viene riconosciuto il governo di Pechino – anche dagli Usa – nel 1979 viene approvato il Taiwan Relations Act secondo il quale Washington può fornire aiuti militari all’isola, senza impegnarsi ufficialmente a difenderla in caso di attacco dai vicini cinesi. Entra in campo la cosiddetta “ambiguità strategica”: gli Stati Uniti non riconoscono la sovranità della Repubblica Popolare Cinese su Taiwan, ma nemmeno l’indipendenza dell’Isola di Formosa. La Cina vuole, quindi, riunificarla alla “madrepatria” e il presidente cinese Xi Jinping vuole che questo avvenga entro il 2049, centenario della nascita della Repubblica Popolare.
L’IMPORTANZA DI TAIWAN
Gli Usa, però, potrebbero non assistere a braccia conserte a una conquista cinese. Per gli Stati Uniti, la Cina è un rivale e Taiwan – che oggi è una democrazia – va difesa. Non possono dimostrare di cedere a Pechino. Inoltre, l’isola di Formosa è una pedina fondamentale dal punto di vista strategico e commerciale. Non solo per gli Usa, ma anche per la Cina e per il resto del mondo. Taiwan è leader mondiale nella produzione di semiconduttori, fondamentali per la realizzazione di microchip di cui tutti hanno bisogno per la fabbricazione di apparecchi elettronici: dai telefoni alle componenti delle automobili. È la ventunesima economia al mondo ed è il nono partner commerciale degli Stati Uniti. Ha anche superato il prodotto interno lordo di Svizzera, Svezia e Arabia Saudita.
Dal punto di vista strategico, se l’isola venisse conquistata da Pechino, la Cina potrebbe predominare sul Pacifico e avere un controllo su tutta l’area. Anche per questo motivo gli Stati Uniti volano a Taiwan indispettendo Xi Jinping che al telefono con Joe Biden – in un colloquio di due ore e 17 minuti – avvisa: “Chi gioca con il fuoco si dà fuoco”. Specificando che la volontà dei cinesi è di salvaguardare “la sovranità nazionale e l’integrità territoriale”.
LA TENSIONE TRA STATI UNITI E CINA
L’amministrazione Biden nei giorni scorsi ha ribadito che il viaggio di Pelosi fosse per iniziativa personale, prendendone le distanze. Mentre ieri la presidente Tsai Ing-wen ha sottolineato di voler continuare a lavorare con gli Usa per “rafforzare la cooperazione tra i due Paesi”.
Intanto, la Cina ha annunciato che da domani, 4 agosto, fino al 7 si terranno delle esercitazioni militari in sei zone intorno a Taiwan che includeranno operazioni di tiro di artiglieria a lungo raggio e lanci di missili verso est. Pechino, inoltre, ha sospeso l’export di sabbia naturale verso l’isola. Proprio quello necessario per la produzione dei semiconduttori.