Sono passati più di sessant’anni dalla nascita del primo robot industriale, Unimate, brevettato da George Devol nel 1954 e impiegato dal 1961 nella catena di montaggio della General Motors, azienda statunitense produttrice di autoveicoli.
Dal 1961 a oggi, l’utilizzo dei robot nell’industria è cresciuto costantemente.Secondo le statistiche pubblicate dalla Federazione Internazionale Robotica (IFR), nel 2014 sono state vendute più di 220mila unità di robot industriali, con un incremento del 27 per cento rispetto al 2013.
Sono circa 4 milioni, invece, le vendite annuali di robot specializzati in vari servizi, come la pulizia domestica e l’intrattenimento, stando ai dati della IFR, che indicano anche una fortissima crescita dell’utilizzo di robot nel settore dell’assistenza ai disabili. Nel 2013, infatti, le vendite in questo campo sono aumentate del 345 per cento.
Visti questi numeri, viene spontaneo chiedersi quale sarà il futuro dei lavoratori,una volta che i robot avranno imparato a fare gratuitamente quello per cui gli uomini vengono retribuiti. Non c’è un’opinione unanime al riguardo. Diversi economisti ed esperti del settore ritengono i robot una seria minaccia per l’occupazione e per i redditi dei dipendenti, mentre altri sono decisamente più ottimisti. Qui di seguito trovate le principali posizioni sull’argomento, così come sono state riassunte dal Washington Post in questo articolo.
I pessimisti
Secondo questo studio,condotto dall’economista Carl Benedikt Frey e l’ingegnere Michael Osborne, il 47 per cento dei lavori statunitensi rischia di scomparire a causa del progresso tecnologico.
Georg Graetz and Guy Michaels, invece, hanno analizzato qui gli effetti che lo sviluppo della robotica ha già avuto su 14 settori dell’industria –prevalentemente manifatturieri, ma anche agricoli – in 17 Stati economicamente sviluppati, tra cui molte nazioni europee, oltre all’Australia, la Corea del Sud e gli Stati Uniti. I loro risultati indicano che i lavoratori specializzati non vengono danneggiati dallo sviluppo e dall’impiego della tecnologia robotica, mentre i lavoratori non specializzati sono penalizzati sia in termini di occupazione che di salario percepito.
La disuguaglianza nella distribuzione del reddito è destinata ad aumentare secondo il premio Nobel Paul Krugman, proprio a causa del crescente utilizzo dei robot. Sempre meno individui deterranno una percentuale sempre maggiore di ricchezze, e l’educazione non costituirà più una garanzia di mobilità sociale. Anche l’economista Nouriel Roubini dubita che l’educazione possa essere un fattore determinante per diffondere i benefici produttivi della robotica a tutta la popolazione.
Personalità di spicco nel mondo della tecnologia, come Bill Gates e Steve Wozniak, co-fondatori rispettivamente di Microsoft e Apple, condividono questo pessimismo. Via via che le macchine diventano più “intelligenti”, sono in grado di sostituire gli uomini nello svolgimento di mansioni sempre più complesse.
L’avanzata dei robot sarebbe così rapida da far scomparire lavori più velocemente di quanto le nuove tecnologie riescano a crearne altri, scrive Claire Cain Miller sul New York Times.
Ci sono poi quelli che potremmo definire ultra-pessimisti, che con le loro rosee previsioni fanno quasi sembrare la disoccupazione un’opzione accettabile. Secondo Stephen Hawking, considerato da molti il più grande scienziato in vita, in futuro i robot, grazie all’intelligenza artificiale, potrebbero diventare incontrollabili. Una volta autosufficienti, le macchine sarebbero in grado di svilupparsi ed evolversi molto più veloce mente della razza umana, determinandone la fine. Molti altri condividono i timori di Hawking, come James Barrat, che su questo argomento ha scritto un libro – “Our Final Invention” – e l’imprenditore Elon Musk, secondo il quale sviluppare l’intelligenza artificiale sarebbe come “richiamare il diavolo”.
Gli ottimisti
“Se le nuove tecnologie riducessero sul serio il numero di lavori disponibili, saremmo tutti disoccupati da un pezzo,” scrive Walter Isaacson sul Financial Times. Secondo il presidente dell’organizzazione no profit Aspen Institute, infatti,l’avanzamento tecnologico rende superflue alcune forme di impiego, ma allo stesso tempo provvede a generarne di nuove. Esattamente l’opposto di quanto sostenuto da Claire Cain Miller.
Anche le opinioni sull’importanza dell’educazione possono essere diametralmente diverse da quelle espresse da Krugman e Roubini.
L’educazione, lungi dal non essere più determinante, può rivelarsi fondamentale per imparare a utilizzare le nuove tecnologie e quindi a lavorare con esse, secondo questo studio pubblicato dal think tank Third Way e redatto dagli studiosi Richard Murnameand Frank Levy. L’importanza dell’educazione è stata sottolineata anche da Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, autori del best-seller intitolato significativamente “The Second Machine Age”.
Inoltre,l’economista James Bessen ci fa notare in questo articolo come i nostri timori sul futuro dell’occupazione potrebbero essere sproporzionati. Il fatto che i computer siano in grado di svolgere mansioni che adesso sono affidate agli esseri umani non significa necessariamente che quelle persone verranno sostituite da robot,proprio come i bancomat non hanno rimpiazzato i cassieri delle banche.
Infine c’è chi, come Kevin Kelly, evidenzia il lato positivo della questione. La giornalista di Wired, infatti,si augura che i robot sostituiscano gli individui nei lavori che svolgono attualmente, così da lasciare agli umani la possibilità di perseguire impieghi più soddisfacenti.
Gli incerti
A queste due principali posizioni si aggiungono anche quelle di tutti coloro che preferiscono non sbilanciarsi. Cardiff Garcia, ad esempio, scrive sul Financial Times che è troppo presto per effettuare un’analisi storica del fenomeno, e di conseguenza anche per avanzare previsioni scientifiche, mentre secondo gli editori di Scientific American è difficile isolare l’effetto dello sviluppo della robotica dagli altri fattori che incidono sull’occupazione.
Le immagini di questa gallery, tratte da diverse fiere internazionali di tecnologia e robotica, mostrano il livello di somiglianza con gli esseri umani raggiunto dagli ultimi modelli di robot, e alcune delle loro capacità. L’interrogativo iniziale – che cosa ne sarà dei lavoratori umani – rimane dibattuto da economisti ed esperti. Quello che è certo, invece, è che le ultime generazioni di robot hanno ormai ben poco in comune con il loro antenato Unimate.