Un vincitore a sorpresa
Alabama, Virginia, Arkansas, Minnesota, Tennessee, Massachusetts, Maine, Carolina del Nord, Oklahoma. E una fetta enorme della torta: Texas. Sono questi gli stati in cui ha vinto Joe Biden, che ora, dopo un inizio disastroso, si ritrova in pole position nel numero dei delegati. Una cosa che, una settimana fa, nessuno si sarebbe aspettato. Senza giri di parole: molti esperti lo avevano dato per finito. Sicuramente il ritiro dell’ex sindaco Pete Buttigieg (sorprendente vincitore in Iowa) e della stessa Klobuchar, dovuti agli scarsi risultati nelle primarie in Carolina del Sud, hanno aiutato, spingendo molti democratici moderati a scegliere Biden, anziché dei candidati più estremi. Ovviamente la strada è ancora lunga, le primarie andranno avanti fino a giugno, ma Biden, dopo questo 3 di marzo, è tornato sulla cresta dell’onda e ora tutto dipenderà da come l’ex vicepresidente di Obama sceglierà di cavalcarla.
E Sanders? Che fine ha fatto? Si è aggiudicato il Vermont, lo Utah, il Colorado e il jackpot della serata, ossia la California, lo stato che offriva più delegati di tutti. Il conteggio dei voti è ancora in corso e ci metterà qualche giorno, ma sembra che sarà lui il vincitore. Insomma: bene, ma non benissimo. Dopo i primi, ottimi, risultati in Iowa, New Hampshire e Nevada, e una mera sopravvivenza in Carolina del Sud, il Super Tuesday era la prova di fuoco per la sua candidatura. Il test per capire quali potessero essere le sue reali possibilità di arrivare alla convention democratica e aggiudicarsi la nomination presidenziale. Diciamo che è stata una prova che non lo ha scottato, ma che sicuramente ha ridotto notevolmente le sue possibilità di trionfo. Per il momento. Sembrava inarrestabile, una vera slavina, tanto che lo stesso partito democratico già tremava di fronte a una sua possibile nomination, viste le sue posizioni radicali e le sue promesse di sanità universale ed educazione universitaria gratis per tutti. Una cosa che in America farebbe tremare, paradossalmente, anche il più liberale dei liberali.
Come nel 2016, quando tutti si misero a remare contro di lui dentro il partito, favorendo Hilary Clinton, questo martedì è successo lo stesso. Con i ritiri di Buttigieg e Klobuchar poco prima del Super Tuesday dovuti, e voluti, per non sottrarre voti a Biden, unificare il partito e minare la marcia del senatore del Vermont. Certo, vincere in California (se confermato), che da sola offre 416 delegati sui 1991 necessari per vincere le primarie, è stata un’ottima cosa per Bernie Sanders, e sono sicuro che, fino alla fine, farà di tutto per rimanere in corsa, vendendo a caro prezzo la sua pelle politica. Tuttavia, le prossime elezioni, tipo quelle del 10 di marzo, dove si voterà in 6 stati, potrebbero essere decisive per rivitalizzare, o affossare, la sua campagna primaria.
Chi esce con le ossa rotte dal Super Tuesday? In primis, il miliardario Mike Bloomberg, e i suoi 560 milioni di dollari spesi in campagna pubblicitaria da novembre in poi. Nonostante una vittoria in Samoa (unico luogo dove non ha fatto campagna elettorale) e un terzo posto in Texas e in California, le aspettative del ricco imprenditore erano molto diverse. Bloomberg sperava di potersi proporre come una valida alternativa agli altri candidati, specie vedendo l’iniziale debolezza di Biden e le posizioni “spaventose” di Sanders, eppure il Super Tuesday è stato chiaro: puoi avere tutti i soldi che vuoi, spenderli e spanderli, ma non è sufficiente per garantirsi una vittoria politica fra i democratici. E i soldi di sicuro non bastano per comprarsi una presidenza. L’ex sindaco di New York aveva puntato tutto sul Super Tuesday, addirittura non aveva partecipato nelle elezioni primarie precedenti per scelta, ma il suo all-in non ha funzionato. La speranza di fare bene, guadagnando delegati in giro per i vari stati, è semplicemente naufragata e ora, nonostante l’intenzione di voler rimanere in corsa, è difficile immaginare un Bloomberg che possa acquistare forza nelle successive elezioni. Più semplice immaginare un suo possibile ritiro, in quello che si rivelerebbe il suo peggior investimento: concorrere nelle primarie da outsider.
Un altro candidato che esce molto, ma molto, male da queste super primarie è la senatrice Elizabeth Warren, che aveva riposto le sue ultime speranze di sopravvivenza in California. Uno stato dove la Warren è arrivata, fino a prova contraria, addirittura quarta, senza guadagnare nessun delegato. E, ancora peggio, pesa l’onta di non aver vinto neanche nel suo stato di provenienza, il Massachusetts. Stato dove è arrivata dietro a Biden e Sanders, pure con un margine non indifferente. A meno di decisioni masochiste, un suo ritiro dovrebbe essere ormai imminente.
Biden vs Sanders
La “rivoluzione” di Sanders contro “la necessità di battere Donald Trump” di Biden. Sarà questo lo scenario che vedremo nei prossimi mesi. Il candidato che richiama di più la politica di Barack Obama contro il movimento che potrebbe cambiare gli Stati Uniti. Trump, secondo diversi media, preferirebbe Sanders come avversario, convinto di poterlo battere più facilmente, ma nei prossimi tre mesi tutto potrebbe ancora succedere. Come il ritorno di Biden era difficile da immaginare, soprattutto in tali proporzioni, queste elezioni primarie democratiche avranno ancora molto da raccontare. Giugno, mese in cui finiranno le primarie, non è mai sembrato così lontano.