Mohammed Mahjoub ha 36 anni ed è membro della campagna politica “Sudan of the future” (Sudan del futuro). Insieme a migliaia dei suoi concittadini, nell’ultimo mese è sceso in piazza a manifestare a Khartum, capitale del Sudan.
TPI.it lo ha contattato via Whatsapp, nonostante il blocco dei social media disposto dalle autorità sudanesi, per farsi raccontare cosa sta accadendo.
La causa principale è la ricerca di libertà da parte del popolo sudanese. Chi dice che protestiamo per il prezzo del pane sbaglia, penso siano stati i media statali a mandare in giro questa informazione. Ma è falso.
La ragione principale ha a che fare con il regime dittatoriale islamico. Non riguarda solo il presidente Omar al-Bashir, riguarda una parte della Fratellanza Musulmana, alleata con l’esercito. Hanno preso il potere nel 1989 e non hanno mai preso in considerazione progresso, libertà, democrazia, libertà d’espressione. Stanno governando col pungo di ferro.
Dal 2011, quando ci fu la divisione dal Sud Sudan, il paese sta vivendo molte problematiche, economiche, sociali e a livello internazionale. E il governo sta gestendo male l’agenda. L’economia del Sudan ora dipende solo da paesi esterni che pagano, Arabia Saudita, Cina, Qatar. Non c’è produzione nel paese, non c’è lavoro né futuro.
Il problema è la disponibilità del grano, del petrolio, persino del contante. Non c’è più contante nelle banche. Abbiamo sopportato questa situazioni per mesi, prima dell’inizio della rivoluzione.
A Khartum ogni giorno la gente sta in fila allo sportello dalle 8 del mattino e non può neanche prelevare tutti i suoi soldi. Ci sono file anche per il carburante, e il governo sta contingentando il pane, non se ne possono comprare più di 30 pezzi.
Quando le proteste sono iniziate fuori da Khartum, nelle città di Damazen, Obaied, Atbra, Barabar,
Dongola, Portsudan, l’esercito sudanese stava dalla parte della gente e la proteggeva dal National Intelligence and Security Service (NISS).
Purtroppo la NISS è dalla parte di al-Bashir. L’esercito ha protetto i manifestanti in molte città, ma a Karthum non intervengono. Anche la polizia si è tirata fuori.
Ogni volta che c’è una protesta – noi le chiamiamo marce – ci sono lanci di lacrimogeni sulla gente e spari sulla folla.
Dall’inizio della protesta oltre 52 persone sono state uccise, in diverse città. Alcuni stimano che 800 persone siano state arrestate dal NISS. L’esercito resta fermo a guardare la gente morire, senza fare nulla.
Il capo dell’esercito, il generale Kamal Abdul-
Purtroppo tutti i media in Sudan sono controllati dal regime. Non c’è nessuna copertura delle proteste. Anche se c’è una protesta per strada in questo momento, la televisione trasmette tutt’altro.
È la National Intelligence and Security Service che decide cosa uscirà sui giornali. Inoltre il governo ha bloccato i social media.
Finché Omar al-Bashir non cadrà. Abbiamo il nostro hashtag “#تسقط_بس” (#justfall) che vuol dire che non smetteremo di protestare fino a quando non ci libereremo dal regime.
La situazione in Sudan è critica e difficile da descrivere. C’è stato un golpe militare appoggiato dal movimento islamista in Sudan, nel 1989. Da quel momento loro hanno iniziato a controllare la vita politica, economica, e il lavoro. Hanno persino licenziato gli impiegati pubblici per rimpiazzarli con quelli che aderivano al movimento islamico.
Ogni elezione da quel momento è stata vinta coi brogli. Attaccano chiunque non sia nel movimento. Usano due strumenti di controllo: i media e l’educazione.
Inoltre hanno creato divisione tra i vari stati da cui è composto il Sudan e generato problemi tra i diversi gruppi etnici. Oggi se sei malato devi andare fuori dal Sudan per avere le giuste cure. Per cui ci sono molte ragioni per cui le persone non sono insorte finora. Usano metodi di distrazione e hanno avuto molto successo in questo.
Il paese sarà governato da un Consiglio civile per un periodo di transizione, con un parlamento transitorio per scrivere la costituzione e preparare il paese alla democrazia. Poi si terranno le elezioni.
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