L’ormai ex presidente del Sudan, Omar al-Bashir, ha rassegnato le sue dimissioni dopo 30 anni l’11 aprile 2019 a seguito di un colpo di Stato dell’esercito sudanese.
Bashir stesso aveva preso il potere nel 1989 manu militari, quando era un colonnello.
Nato il primo gennaio 1944 nel villaggio di Hosh Bannaga da una famiglia di agricoltori, al-Bashir è cresciuto nella capitale del Sudan, Khartum.
Nel 1966 entrò nell’accademia militare, per poi combattere nel 1973 nelle file dell’esercito egiziano contro Israele nella guerra del Kippur. Una volta tornato in Sudan guidò le operazioni militari contro il Fronte di Liberazione Popolare per l’indipendenza del Sudan del Sud.
Al-Bashir continuò così la sua scalata nella gerarchia dell’esercito fino a quando non conquistò il potere del Sudan con un colpo militare nel 1989, a discapito del primo ministro Sadiq al-Mahdi.
Preso il controllo del paese, al-Bashir mise al bando tutti i partiti politici, impose la censura sulla stampa e sciolse il Parlamento, proclamandosi capo di Stato, primo ministro, capo delle forze armate e ministro della Difesa.
Nel 1999 il presidente decise anche di imporre nel paese la sharia e il Sudan fu inserito dagli Stati Unti nella lista dei sostenitori del terrorismo.
Dall’anno della presa del potere ad oggi, la tensione nel paese africano non si è mai del tutto sopita come dimostrano i diversi conflitti scoppiati in Sudan, primi tra tutti quelli in Darfur e in Kordofan.
Proprio in merito a questi scontri e a causa della reazione del Governo, il presidente al-Bashir nel 2009 fu incriminato per crimini di guerra e contro l’umanità in Darfur dalla Corte penale internazionale.
Negli anni i giudici hanno emesso due mandati di cattura per il capo di Stato del Sudan, a seguito dei quali la comunità internazionale ha imposto una serie di sanzioni contro il paese.
Gli Stati Uniti invece hanno decretato un embargo generale contro il Sudan, revocato a ottobre 2017.
Nonostante il mandato di cattura internazionale, al-Bashir ha vinto le elezioni nel 2010 e nel 2015, quando l’opposizione decise di boicottare le urne in segno di protesta.
Il suo dominio sul Sudan è terminato l’11 aprile con un colpo di Stato.
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