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    Sudafrica, rivolte e saccheggi dopo l’arresto dell’ex presidente Zuma: il governo richiama i riservisti per la prima volta da decenni

    Una donna viene arrestata dalla polizia a Katlehong, a est di Johannesburg, il 12 luglio 2021. Credit:Phill Magakoe / AFP
    Di Giulio Alibrandi
    Pubblicato il 15 Lug. 2021 alle 16:09

    Sudafrica, rivolte e saccheggi dopo l’arresto dell’ex presidente Zuma: il governo richiama i riservisti per la prima volta da decenni

    Il governo del Sudafrica intende schierare 25.000 soldati per porre fine ai ai disordini scoppiati dopo l’arresto dell’ex presidente Jacob Zuma la settimana scorsa, che finora hanno causato la morte di 72 persone. Si tratta di dieci volte il numero di truppe schierate a inizio settimana per assistere la polizia, già raddoppiate ieri da 2.500 a 5.000, e la prima volta dalla fine dell’apartheid nel 1994 che il governo ha richiamato i riservisti.

    Le proteste hanno portato a saccheggi e violenze che hanno colpito diversi snodi importanti delle filiere e dei trasporti, minacciando le forniture di cibo e carburante nel paese. Secondo dati ufficiali più di 3.000 persone sono state finora arrestate.

    Zuma, presidente dal 2009 al 2018, si è consegnato alle autorità la settimana scorsa, dopo essere stato condannato il 29 giugno a 15 mesi di reclusione dalla Corte costituzionale del paese. L’arresto di Zuma era stato inizialmente visto come un successo per la presidenza di Cyril Ramaphosa, il successore del 79enne ex combattente contro l’apartheid. Nei giorni successivi al suo arresto sono invece scoppiate violenti proteste, perlopiù nella sua provincia nativa di KwaZulu-Natal, in cui l’ex presidente è ancora popolare, e in quella di Gauteng dove si trovano Johannesburg e la capitale Pretoria.

    Nella sola giornata di ieri sono stati registrati 208 episodi di saccheggio e vandalismo, mentre più di 200 centri commerciali sono stati finora danneggiati o saccheggiati.

    In un incontro con i leader dei partiti politici, Ramaphosa ha dichiarato che a causa dei disordini in alcune parti del Paese potrebbero presto scarseggiare beni di prima necessità. Oltre ai negozi e agli esercizi commerciali, le proteste hanno colpito fabbriche, magazzini e bloccato il traffico sulle autostrade che collegano i principali centri economici del paese, oltre a portare alla chiusura della più grande raffineria del paese.

    La spirale di violenza ha spinto diversi cittadini a prendere le armi e formare gruppi di vigilanti in molte delle aree più colpite, in diversi casi aprendo il fuoco contro sospetti aggressori. Lo scorso lunedì 12 luglio il governo ha ordinato di schierare 2.500 soldati per contenere i disordini, un numero poi raddoppiato in soli due giorni. Ieri, nello stesso giorno in cui il presidente sudafricano ha deciso di chiamare 5.000 truppe, la ministra della Difesa Nosiviwe Mapisa-Nqakula ha annunciato in parlamento di aver inoltrato a Ramaphosa una richiesta per schierare 25.000 soldati, chiamando 12.000 riservisti.

    Secondo alcuni analisti, i disordini possono essere in parte attribuiti alle rivalità interne al partito che governa il paese dalla fine dell’apartheid, l’African National Congress (Anc). Zuma, condannato per essersi rifiutato di comparire davanti alla commissione d’inchiesta che indaga su presunti casi di corruzione avvenuti durante la sua presidenza, appartiene a una fazione considerata avversa a quella più moderata guidata da Ramaphosa.

    Le violenze hanno messo ancora più pressione sul sistema ospedaliero del paese più colpito in Africa dalla pandemia di nuovo coronavirus, impedendo in alcuni casi al personale sanitario di raggiungere gli ospedali.

    Attualmente il Sudafrica sta attraversando la terza ondata di contagio, facendo registrare nuovi record in termini di di casi e decessi, mentre solo il 2,5 percento della popolazione è stata pienamente vaccinata contro Covid-19. La crisi economica causata dalla pandemia ha messo in difficoltà milioni di sudafricani, spingendo il tasso di disoccupazione giovanile al 46 percento e quello relativo all’intera forza lavoro al 33 percento.

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