Nel dicembre 2013 in Sud Sudan è esploso un conflitto etnico. Oggi quel conflitto sarebbe diventato estremamente violento, tanto da essere teatro di torture, mutilazioni, arruolamento di bambini soldato e stupri sistematici, per lo più condotti contro i civili, così come episodi di cannibalismo forzato. L’ha reso noto un rapporto dell’organizzazione internazionale dell’Unione Africana (Ua).
Il Paese africano, che ha ottenuto l’indipendenza dal Sudan il 9 luglio 2011 a seguito di un referendum, è dilaniato dagli scontri che coinvolgono l’etnia Dinka e il gruppo dei Nuer, di cui sono esponenti rispettivamente il Presidente Salva Kiir, eletto nel 2011, e il suo ex braccio destro, l’ ex vicepresidente Riek Machar.
Kiir è stato accusato dai propri oppositori di aver fatto ricorso a metodi dittatoriali per consolidare il proprio potere, provvedendo a una drastica riorganizzazione dei vertici politici e militari dello Stato, rimuovendo, tra gli altri, anche Machar.
Da parte sua, Kiir sostiene che il conflitto sarebbe iniziato dopo un tentativo di colpo di stato portato avanti dalle truppe fedeli a Machar. L’intervento dell’esercito presidenziale avrebbe scongiurato l’attacco senza però riuscire a riportare la situazione alla normalità.
Nell’agosto 2015 il governo e i ribelli hanno stretto un accordo di pace per porre fine al conflitto, ma il patto negli ultimi mesi è stato sistematicamente infranto da entrambi i fronti, provocando decine di migliaia di morti.
Oltre due milioni di persone sono state costrette a lasciare la propria casa durante i quasi due anni di guerra civile.
“Donne di tutte le età hanno parlato dei sistematici stupri di gruppo a cui sono state sottoposte e di come poi venivano lasciate prive di sensi e sanguinanti”. Hanno raccontato gli autori dell’inchiesta. “Le persone, poi, non venivano semplicemente uccise con un colpo di pistola, ma, per esempio, venivano picchiati prima di doversi buttare nel fuoco. Abbiamo sentito anche di uomini catturati e costretti a nutrirsi di carne umana e a bere sangue”.
Secondo il rapporto le uccisioni sarebbero state “un’operazione organizzata che non avrebbe potuto avere successo senza il coinvolgimento degli ambienti militari e di governo”.