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    La sacrosanta protesta degli universitari di tutto il mondo ci ricorda che la pace non è un dono, ma una conquista

    Credit: Zumapress/Agf
    Di Renzo Parodi
    Pubblicato il 15 Mag. 2024 alle 10:18 Aggiornato il 15 Mag. 2024 alle 10:18

    Si sono finalmente scovati e additati al pubblico ludibrio i “terroristi” che minacciano il vivere e la convivenza civile del pacifico e operoso Occidente del Mondo. Sono i giovani, le legioni di studenti e di studentesse armati di cartelli e striscioni che negli Usa – da New York alla California, passando per l’Oregon, l’Illinois, il Texas – dall’Australia all’Estremo Oriente, dalle università inglesi agli atenei francesi, con qualche (modesta) sbavatura italiana, da qualche settimana protestano piantando tendopoli nei giardini dei loro luoghi di studio e invocano la fine immediata del massacro di civili nella striscia di Gaza.

    Sono scamiciati contestatori dell’ordine mondiale che chiedono pace, pace e ancora pace per la Palestina martoriata e per il mattatoio fronte russo-Ucraino, mettendo in discussione il pensiero (quasi) unico che trasvola delle decisioni dei governi nazionali dagli Appalachi alle spiagge della Normandia fino al mare del Nord e a sud al Mediterraneo, che predica prosecuzione la guerra santa in versione antirussa, incurante del terribile costo di giovani vite umane destinate a bruciarsi nell’incendio di una guerra insensata, dalla quale non usciranno vincitori ma soltanto macerie, dolore, vittime e danni, morali e materiali, destinanti a non essere mai più rimediati.

    Un blocco di potere retto dalla forza di un conglomerato di interessi finanziario-economico ammantato dall’inganno della politica, presuntivamente derivante dalla sovranità popolare, anziché autodefinito e insindacabile, e abituato a chiudere non uno ma entrambi gli occhi sulle sciagure che preannunciano la catastrofe della guerra vera. Totale annichilente. Nessuna voce autorevole si leva dalle cancellerie europee e nordamericane contro la sistematica strage di una popolazione inerme, colpevole di condividere una martoriata striscia di terra con i macellai di Hamas. Chiunque osi mettere in questione la strategia del governo Netanyahu viene bollato come antisemita, nella cosciente confusione fra lo stato di Israele, che si sta macchiando di crimini contro l’umanità, e la popolazione ebraica che paga essa stessa il prezzo sanguinoso della guerra di annientamento decisa dal premier contro Hamas; obiettivo mai raggiunto, come dimostrano gli ostaggi israeliani trattenuti dai loro carnefici dopo sette mesi di una strage che ha cancellato 35mila palestinesi, una buona metà bambini e donne sicuramente esenti da contiguità al terrorismo di Hamas.

    In questa orrenda deriva la protesta dei giovani universitari dai quattro angoli del pianeta non è soltanto giustificata, è sacrosanta. Incolpati di indifferenza, di praticare un individualismo solipsistico e gretto, volutamente ignaro delle cose della vita, i ragazzi e le ragazze degli atenei sono stati trasformati dalla prona informazione governativa (tutti i gatti ormai sono bigi) in diavoli tentatori, in accesi agit prop della propaganda antiisraeliana, in fomentatori di odio antisemita, quando non in agenti, scoperti, del putinismo strisciante. I brutali interventi repressivi delle varie polizie, gli sgomberi delle università occupate a suon di gas lacrimogeni, proiettili di gomma, manganelli, le migliaia di manette messe ai polsi di adolescenti armati solo dei loro ideali, hanno avuto il merito di smascherare il vero volto delle sedicenti democrazie; di rivelare che l’Occidente alla base non è affatto migliore, geneticamente superiore come si pretende agli odiosi regimi illiberali o autocratici contro i quali conduce questa moderna Crociata.

    Quei giovani esprimono una protesta che dovrebbe appartenere a tutti gli uomini e le donne di ogni etnia, nazione e religione. Non è più possibile tacere e assistere in nome di una ragion di Stato nebulosa e ingannevole come un gioco di specchi, al massacro sistematico di tante giovani vite. I sostenitori della guerra come rimedio assoluto dovrebbero immaginarsi lontani per qualche giorno dalle loro comode case, dai loro morbidi letti, dalle mense riccamente imbandite e dal corredo finora indefettibile (ma fino a quando?) della confortevole esistenza di vacanze, viaggi, divertimenti, svaghi, sport che la civiltà ha donato a questa parte di mondo. Dovrebbero mentalmente incarnarsi, sì, incarnarsi, nelle folle disperate di profughi palestinesi sballottati a gusto di Netanyahu da un angolo all’altro della martoriata striscia di Gaza.

    Intere famiglie (quelle scampate finora alla strage) costrette ad aggirarsi fra macerie, bombardamenti quotidiani, una carestia cronica ignorata dai falchi di Tel Aviv e tollerata dai loro padroni americani; una piaga che sta già mietendo altre vittime innocenti, gli scampati alle bombe e ai droni israeliani sono condannati a morire di fame, di malattie e di paura e non si fatica a capire chi colpirà la mannaia cieca e sorda di questa insensata guerra ad Hamas. Ancora e ancora bambini, donne, anziani. Ogni vita ingiustamente spezzata è un atto di accusa contro il nostro sistema politico, contro l’indifferenza dilagante, contro tutti i benpensanti che voltano le spalle davanti a queste immense tragedie nell’illusione che un giorno termineranno da sé. Per stanchezza dei contendenti, per consunzione. In via naturale o per grazia divina. Non accadrà. La pace va ricercata con ostinazione, coltivata e raggiunta. Non è un dono. È una conquista.

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