Il copione è sempre lo stesso. Ogni giorno qualche cittadino in Egitto improvvisamente scompare e non per magia, ma per mano consapevole del governo egiziano. Dopo alcune ore o giorni in cui si perdono le tracce di queste persone, le stesse ricompaiono in un luogo sconosciuto, immersi nel nulla in qualche bunker lontano da occhi indiscreti.
Quello che accade in quelle stanze è cosa ormai tristemente nota: i reati di cui vengono accusati sono spesso frutto di invenzione, anche se sono semplicemente oppositori del regime, manifestanti, dissidenti, avvocati o attivisti che in qualche modo “minano la sicurezza dell’Egitto”.
Anche Patrick George Zaki, studente egiziano di 28 anni dell’università di Bologna, si è macchiato della stessa colpa. Qualcosa di ciò che ha pubblicato sui social o che ha scritto nei suoi post ha fatto sì che per lui scattasse un mandato di arresto. Un mandato reso esecutivo nell’immediato secondo in cui ha messo nuovamente piede sul suolo egiziano.
“Patrick è stato bendato e trasferito in un luogo segreto a circa un’ora di auto dall’aeroporto, lì è stato torturato con i cavi elettrici, su di lui non vi sono segni, chi ha operato lo ha fatto come un professionista. Un uomo lo ha colpito una sola volta, poi si è tolto la giacca e ha minacciato di ucciderlo”.
A parlare a TPI è l’avvocato Wael Ghally, il legale di Patrick che oggi dovrebbe finalmente poterlo incontrare.
Le accuse nei suoi confronti sono molteplici: diffusione di false notizie per disturbare la quiete pubblica; incitamento a proteste non autorizzate, con l’obiettivo di screditare il prestigio dello Stato e disturbare la pace e la sicurezza pubblica; propaganda per rovesciare il governo e cambiare i principi basilari della costituzione; utilizzo di account social per destabilizzare l’ordine pubblico e soprattutto promozione di comportamenti violenti e crimini di matrice terroristica.
Wael da più di 15 anni si occupa di diritti umani e sa bene cosa sta succedendo: “Secondo le accuse, le sentenze possono variare dall’ergastolo alla morte. Ma in questi casi potrebbe anche esserci una sentenza di innocenza. Il problema reale è che l’imputato può trascorrere lunghi periodi di detenzione preventiva durante le indagini, anche fino a due anni. Secondo il sistema penale egiziano, i periodi di detenzione preventiva vengono detratti dal periodo di punizione. Ma se decide per l’assoluzione, non vi sarà alcun risarcimento per i periodi di reclusione”.
Quello che sta accadendo in Egitto è preoccupante e rinsalda la convinzione secondo cui bisognerebbe intervenire a livello internazionale. Oggi a essere colpito è un ragazzo di soli 28 anni, uno studente che con sacrificio aveva ottenuto una borsa di studio per Master Gemma dell’università di Bologna. Ed è lì che i suoi colleghi amici chiedono che possa tornare. In Italia.
Ma in Egitto si racconta un’altra storia: “La tv egiziana ne parla sì come di uno studente non italiano ma che è contro lo stato egiziano”, spiega Ghally.
Stando alle informazioni di cui siamo in possesso, le tv egiziane statali stanno compiendo una vera opera di diffamazione, raccontando che Patrick è gay e che frequenta un Master sull’omosessualità in Italia. Lo si sta dipingendo come un ragazzo violento, un ragazzo che dall’estero attacca l’Egitto. Un gogna che segna una sorta di verdetto per Patrick.
In questo video, il giornalista Nashat Al-Daihi utilizza questi termini per descrivere Patrick:
“Oggi proverò ad incontrarlo. Se avrò un rifiuto dalla prigione, attiverò le procedure per ottenere un permesso per visitarlo. Non siamo di fronte a un nuovo caso Regeni, Patrick è attualmente su documenti ufficiali e giudiziari. Mentre Giulio fu sottoposto a sparizione forzata e riapparve solo una volta morto”, afferma invece l’avvocato Ghally.
Il caso di Patrick sta avendo eco internazionale, dal new York Times alla Bbc, tutti i maggiori quotidiani parlano di lui e l’attenzione non deve calare.
Il caso di Patrick George Zaky, è “molto particolare” in quanto non si tratta “di un cittadino italiano, ma un cittadino che viveva e studiava in Italia. Quindi abbiamo fatto subito appello all’Unione europea e alla comunità internazionale per occuparsi del caso”, ha detto il sottosegretario al ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Manlio Di Stefano, a Parigi, a margine di una visita tra gli stand italiani presenti alla fiera del vino “Wine Paris”.
“Credo che non sia il classico esempio di cooperazione bilaterale – ha continuato Di Stefano – in questo caso, speriamo che la situazione si possa chiarire al più presto”.
“L’Egitto rivendica il suo diritto di arrestare una persona che per loro è un ricercato. Noi chiaramente chiediamo prima di tutto, al di la della causa tecnica, la tutela dei diritti, poi è chiaro che il resto verrà da sé”, ha aggiunto il sottosegretario.
Patrick è nelle mani del regime di al Sisi, ma può essere salvato. L’attenzione che è stata creata sul suo caso può fare la differenza. Ma bisogna agire il prima possibile. Ecco perché anche Amnesty International, che per prima ha diffuso notizie sul caso, si è attivata per aiutarlo.
L’Italia ha il dovere di proteggere Patrick. Rischia una detenzione lunga, maltrattamenti e torture”, avverte Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.