La strategia della Svezia contro il Coronavirus non è quel che sembra
C’è chi la guarda come esempio di lotta al Coronavirus senza l’adozione di misure estreme come il lockdown, e chi la critica perché non starebbe facendo abbastanza per contrastare la diffusione della pandemia a livello nazionale: la Svezia in questi giorni continua a far discutere per la strategia messa in atto di fronte alla minaccia del Covid-19, con restrizioni apparentemente più “soft” rispetto a tutti gli altri Stati europei, tra cui spicca la mancata imposizione di alcun lockdown, la decisione di lasciare aperti i locali e gran parte delle scuole, e il divieto degli assembramenti solo al di sopra di 50 persone.
Ma perché adottare una strategia diversa da tutti gli altri paesi europei? Forse la Svezia punta a raggiungere l’immunità di gregge più rapidamente possibile? Oppure ha messo l’economia nazionale al primo posto, al di sopra della tutela della salute dei cittadini? A ben vedere, entrambe queste ricostruzioni sono troppo semplicistiche e, per questo, inducono in errore. In realtà la strategia messa in campo dal governo svedese è ben più complessa di quanto potrebbe apparire e ha portato a dei successi ma anche a dei fallimenti.
“Una maratona, non uno sprint”
A differenza di molti altri paesi, il governo svedese ha deciso di mantenere aperte le scuole, ad eccezione di quelle superiori. I suoi cittadini sono invitati, ma non obbligati, a evitare i viaggi non essenziali, a lavorare da casa e a non uscire se sono anziani o malati. Negozi, ristoranti e palestre sono rimasti aperti, con l’invito a rispettare le distanze. Sono vietati gli assembramenti, ma solo se con più di 50 persone. Si tratta di misure che possono apparire più blande rispetto a quelle imposte in altri Stati europei, ma che vengono rispettate dalla maggioranza degli svedesi, per la notevole fiducia che ripongono nelle autorità pubbliche del paese secondo i sondaggi.
A confermare questo punto è anche Karin Ulrika Olofsdotter, ambasciatrice svedese negli Usa, in un’intervista con Today’s WorldView, citata dal Washington Post. La fiducia verso le istituzioni è un “elemento fondamentale della società svedese”, ha affermato Olofsdotter. “Ecco perché possiamo lavorare con le linee guida, perché la maggior parte delle persone le segue davvero. Fa parte di ciò che siamo. Naturalmente ci sono persone che non lo fanno, ma la maggior parte delle persone lo fa”.
Molti svedesi in effetti concordano con le scelte del governo e rispettano le indicazioni, ma alcuni scienziati hanno espresso critiche severe verso questo approccio. “Qui è tutto delegato alla responsabilità individuale. Siamo molto preoccupati”, hanno detto a TPI due italiani che vivono in Svezia all’inizio di aprile. “Se non dovesse cambiare la situazione, corriamo un rischio enorme. Crediamo che stiano davvero sottovalutando il problema”
Su quale sia l’obiettivo dell’approccio svedese contro il Coronavirus “ci sono stati molti fraintendimenti”, ha dichiarato alcune settimane fa in un’intervista al quotidiano britannico The Guardian il ministro degli Esteri Ann Linde. “Abbiamo gli stessi obiettivi di tutti gli altri governi, e come abbiamo sempre detto siamo perfettamente pronti a procedere con regole più severe se la popolazione non seguirà le indicazioni”. Anche la Svezia, ha spiegato il ministro al Guardian, “vuole salvare vite e fermare la diffusione del virus, assicurare che il sistema sanitario sia in grado di gestire l’epidemia e ridurre le conseguenze per l’economia e l’occupazione. Ma la consideriamo una maratona, non uno sprint”.
Anche l’Oms ha lodato le misure intraprese dalla Svezia, sostenendo che gli svedesi siano passati direttamente alla fase di convivenza con il virus. “La gente pensa che la Svezia non abbia fatto nulla, non potrebbe essere più falso”, ha detto lo scorso 29 aprile in conferenza stampa il capo del Programma di emergenze sanitarie dell’Organizzazione mondiale della sanità, Mike Ryan. “La Svezia ha messo in atto misure di salute pubblica molto forti. Quello che hanno fatto di diverso è che si sono basati su un rapporto di fiducia con la cittadinanza. Se dobbiamo arrivare a un nuovo modello di vita di ritorno alla società senza nuovi lockdown, penso che la Svezia possa essere un esempio da seguire”, ha aggiunto. In Svezia “stanno capendo come convivere con il virus in tempo reale, il loro modello è un strategia forte di controllo e una forte fiducia e collaborazione da parte della comunità. Vedremo se sarà un modello di pieno successo o meno”.
Mortalità e case di riposo
Con i suoi oltre 26mila casi confermati, la Svezia si colloca ad oggi al 23esimo posto della classifica dei paesi più colpiti, ben al di sotto di Stati Uniti e Italia. Ma è il paese più colpito tra quelli scandinavi per numero di contagi, collocandosi sopra Danimarca (quasi 11mila casi), Norvegia (8mila casi) e Finlandia (circa 6mila casi). Un dato confermato anche per quanto riguarda il bilancio delle vittime, che arriva a 3.256 ed è quindi ben superiore alle 533 registrate in Danimarca, alle 224 della Norvegia e ai 271 morti in Finlandia.
In Svezia il tasso di mortalità del Coronavirus per abitanti è molto più basso rispetto a paesi come Italia e Spagna, ma è di molte volte più alto di quelli dei paesi nordici confinanti, che hanno imposto restrizioni più severe. “La Svezia sta pagando caro per la sua decisione di non chiudere”, ha commentato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump in un tweet dello scorso 30 aprile mettendo a paragone il numero delle vittime in Svezia con quello degli altri paesi scandinavi.
In particolare, a pagare per le mancate restrizioni sono stati gli over 70, che costituiscono la maggior parte delle vittime. Anche in Svezia, infatti, come in altri paesi, il virus ha avuto una notevole diffusione all’interno di case di riposo. “Il nostro più grande fallimento è quello che riguarda la popolazione più anziana”, ha riconosciuto Olofsdotter. Sul punto l’Oms, sempre tramite Mike Ryan, ha commentato: “È tragicamente abbastanza un’esperienza simile a quella di molti altri paesi in Europa e qualcosa su cui tutti dobbiamo esaminare, come proteggere al meglio i nostri anziani”.
Immunità di gregge e rischi per l’economia
L’approccio della Svezia nella lotta al Coronavirus ha portato anche apparentemente a dei successi. L’epidemiologo Anders Tegnell, che collabora col governo svedese, venerdì scorso ha affermato che il paese è stato “molto vigile e ha individuato i casi molto presto”, consentendo un certo controllo sulle trasmissioni, al contrario di altri paesi che hanno iniziato “i test troppo tardi”. L’esperto ha rilevato una “lenta diminuzione dei casi a Stoccolma”, che ora attribuisce “a un certo livello di immunità nella popolazione”. Secondo l’agenzia svedese per la salute pubblica, un terzo dei residenti della capitale potrebbe aver già contratto il virus, e questo la potrebbe rendere meno vulnerabile a una seconda ondata.
Ciononostante, Olofsdotter sottolinea che la strategia della Svezia non punta all’immunità di gregge, ma è un approccio che secondo il governo punta a “salvare vite e a mantenere il sistema sanitario funzionante”. Anche la decisione di non chiudere le scuole sarebbe stata presa, secondo l’ambasciatrice, in un’ottica di tutela della salute pubblica, dal momento che gran parte degli operatori sanitari sarebbe stata costretta a restare a casa insieme ai figli.
Per quanto riguarda le conseguenze economiche, le misure adottate – pur non essendo radicali come quelle di altri Stati – hanno colpito duramente il paese, perché la strategia della Svezia “non è stata elaborata tenendo conto degli imperativi economici”, come spiega il Washington Post. L’economia del paese è fortemente dipendente dalle catene di approvvigionamento globali ora intasate e si prevede che quest’anno subirà tra il 6 e il 7 per cento di perdita sul suo prodotto interno lordo, più o meno come gli Stati Uniti e la Germania. La disoccupazione potrebbe raggiungere invece il 10 percento entro l’estate, una cifra sorprendentemente alta nel paese. A compensare la crisi ci penserà forse il solido sistema di welfare del paese, che il governo ha cercato di potenziare durante la pandemia.
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