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    Strage a Nairobi

    Al-Shabaab ha rivendicato l'attacco al centro commerciale che ha causato almeno 68 morti. Ancora si combatte all'interno del mall

    Di Ernesto Clausi
    Pubblicato il 22 Set. 2013 alle 22:07 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 22:52

    «Non posso smettere di piangere mentre scrivo», twitta Mahezabeen.

    La sua amica Ruhila Adatia, nota giornalista keniota, è tra le vittime di un sabato di paura, terrore e morte a Nairobi. Ieri mattina un gruppo di uomini armati ha assaltato il centro commerciale Westgate, uno dei più noti ed eleganti della città, punto di ritrovo di stranieri e ricchi cittadini kenioti. Ruhila era lì, come tanti, per una tazza di thè o per fare shopping.

    «In pochi secondi è stato l’inferno» racconta un dipendente del Nakumatt, la maggiore catena di supermercati presente nel Paese. «Ci sono venuti addosso lanciando granate e sparando. Sembrava di essere in guerra».

    Verso mezzogiorno, una ventina di miliziani, armati di granate e AK-47, ha fatto irruzione nel complesso uccidendo almeno 68 persone e ferendone oltre 200. Con un preciso disegno terroristico. Dopo aver lasciato andare uomini e donne di fede musulmana, hanno eseguito delle vere e proprie esecuzioni nei confronti di dipendenti e clienti. Poi si sono asserragliati nel centro commerciale, dove stanno ancora combattendo contro le unità dell’esercito, della Gsu (General Service Unit) e le squadre speciali.

    Dalla scorsa notte le forze di sicurezza stanno “bonificando”, negozio per negozio, l’enorme complesso commerciale. Sono state evacuate sinora oltre mille persone e decine di ostaggi. Tra le vittime, si contano già due francesi, due canadesi, un italiano di origine somala, e diversi feriti britannici e americani. Due degli ospedali della città, Aga Khan e MP Shah, hanno lanciato un appello per la donazione di sangue.

    Il movimento terroristico al-Shabaab ha rivendicato l’attacco. «Mogadiscio e Nairobi stanno vivendo il loro Mumbai moment» ha twittato HSM, l’ufficio stampa del gruppo nel pomeriggio di ieri, ricordando gli attentati del 2008 in India (quasi duecento morti, una battaglia tra terroristi e forze di sicurezza durata sessanta ore). Successivamente l’account Twitter del gruppo è stato sospeso per l’ennesima volta.

    Già dai primi momenti, quando si era ipotizzata una rapina, le modalità dell’attacco e l’obiettivo avevano lasciato intuire la matrice terroristica. Al-Shabaab rientra nella grande e variegata galassia terroristica che fa ideologicamente capo ad al-Qaeda. Il movimento applica una rigida e integrale versione della Sharia, la legge islamica. L’attacco non giunge inaspettato.

    Diversi segnali avevano messo in guardia i servizi di sicurezza nazionale, che operano a stretto contatto con l’intelligence americana e britannica. Da quando l’esercito keniota ha varcato il confine somalo, nell’ottobre 2011, gli attacchi e gli attentati si sono susseguiti incessantemente. L’intervento del Kenya Defence Force, inquadrato nella missione delle Nazioni Unite Amisom ha l’obiettivo di sradicare il movimento terroristico al-Shabaab e riportare la stabilità in Somalia.

    Così la strategia della tensione crescente adottata dal gruppo terroristico somalo in risposta all’ingerenza militare keniota è culminata negli eventi di ieri. Prima i bar, i ristoranti, gli autobus. Poi le chiese cristiane. Ieri il “colpaccio”. Un target classico, annunciato, di quelli che partorisce il terrore puro. Un attacco coordinato, che ha segnato un salto di qualità nella strategia del terrore adottata da al-Shabaab. E ha colpito al cuore degli interessi occidentali e di ciò che richiama i valori dell’economia capitalistica.

    È il più sanguinoso ed eclatante colpo messo a segno dal terrorismo internazionale in Kenya dopo l’attentato alle ambasciata americana di Nairobi del 1998. In quell’occasione fu contestualmente colpita anche l’ambasciata statunitense di Dar es Salaam, in Tanzania. Le vittime furono 223.

    Nairobi è il polo strategico, commerciale ed economico più importante dell’Africa orientale . Qui hanno sede i quartieri generali delle agenzie delle Nazioni Unite nella regione, con oltre cinquemila dipendenti stranieri, e delle principali organizzazioni non governative. Ora la città è sotto shock.

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