Osservare migliaia di persone morire di Covid-19: una realtà durissima, che ha spinto tanta gente a confrontarsi con il periodo di tempo limitato che ha a disposizione nella vita, e a guardare quindi sotto una luce diversa le proprie condizioni lavorative.
Negli Stati Uniti, ciò ha provocato la nascita di un movimento chiamato “antiwork”, cresciuto esponenzialmente dallo scoppio della pandemia. Non si tratta di un caso: una cifra record di 4,4 milioni di americani, infatti, ha abbandonato il proprio posto di lavoro solo a settembre, circa il 3% della forza lavoro nazionale. Si tratta del più alto tasso registrato dal Bureau of National Statistics dal 2000 e di un chiaro segnale che “la Grande Dimissione” – termine coniato dallo psicologo Anthony Klotz – non accenna a fermarsi.
Dall’inizio della pandemia, la pagina “antiwork” del celebre sito di social news Reddit è esplosa in popolarità, passando da 100mila a 1,2 milioni di membri tra il gennaio 2020 e il novembre 2021. Da settembre il numero degli iscritti si è addirittura quadruplicato.
No al capitalismo selvaggio
Il subreddit r/antiwork è il nuovo tempo di chi si oppone al capitalismo selvaggio, e ha fatto da magnete per gli impiegati più sottopagati e disprezzati; un luogo dove gli iscritti parlano di depressione legata al lavoro, dei loro capi tirannici, oltre a scambiarsi strategie per richiedere più tempo libero, ricevere un aumento, saper dire no a richieste irragionevoli, sindacalizzarsi o licenziarsi.
La pagina ha acquisito molta popolarità anche grazie alla recente tendenza virale di condividere gli screenshot dei messaggi di licenziamento al proprio capo. Parlando a TPI, Doreen Ford, una delle fondatrici del movimento, ha sottolineato che «la comunità antiwork non serve solo a lamentarsi del proprio lavoro, ma a costruire un movimento che comprometta le basi del capitalismo per sostituirle».
“Lavoratori (Amazon) di tutto il mondo… Unitevi”
Oltre a offrire uno spazio per sfogare le proprie frustrazioni, infatti, la pagina sta attualmente organizzando la sua prima azione coordinata nel mondo reale, il “Blackout Black Friday”, uno sciopero generale rivolto ai commercianti e a chi opera nel settore dei servizi. Un volantino sovversivo per lo sciopero generale del 26 novembre recita: «NO ALLA PRODUTTIVITÀ, NO ALLO SHOPPING!». Intanto, anche tanti lavoratori Amazon di tutto il mondo hanno deciso di scioperare per il Black Friday, con l’obiettivo di migliorare le proprie condizioni lavorative e chiedere maggiori tutele ai loro superiori. La campagna “Make Amazon Pay”, una coalizione di oltre 70 sindacati e organizzazioni – tra cui Greenpeace, Oxfam e Amazon Workers International – ha organizzato una protesta globale con la partecipazione di lavoratori e attivisti da oltre 20 paesi. Secondo il manifesto pubblicato sul sito makeamazonpay.com: «La pandemia ha esposto il modo in cui Amazon trae profitti senza pensare ai lavoratori, alla società e al nostro pianeta. È ora che Amazon paghi». La campagna invita i lavoratori di «tutte le raffinerie, fabbriche, magazzini, data center e uffici aziendali del mondo» a unirsi alla protesta.
Lo sciopero revocato in Italia
L’Italia, in questo contesto, fa in parte eccezione. I sindacati Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti hanno infatti dapprima indetto uno sciopero generale dei driver proprio in occasione del Black Friday, per poi revocarlo dopo aver ottenuto un accordo con le aziende fornitrici di servizi per Amazon. Marco Sarlo, sindacalista di Uiltrasporti, spiega a The Post Internazionale quali sono le criticità che avevano portato all’idea di scioperare: «I carichi di lavoro per i driver sono troppo gravosi, anche perché a dettarli è un algoritmo che non tiene in considerazione diversi fattori, come il traffico o tutti gli imprevisti che si possono trovare lungo la strada. Nel calcolo della produttività, inoltre, è presa in considerazione anche la pausa, che invece i lavoratori sfruttano per mangiare, stando quindi fermi. Questo va ad aumentare i carichi di lavoro perché il tempo a disposizione per consegnare risulta maggiore di quello che è realmente. C’è poi un enorme precarietà tra le aziende fornitrici di servizi per Amazon: di conseguenza i lavoratori, per ottenere una stabilizzazione, cercano di farsi notare fornendo prestazioni che mettono a rischio la loro incolumità».
Tutte queste problematiche avevano portato allo sciopero in occasione del Black Friday. Proprio la sollevazione e la successiva trattativa hanno permesso di giungere a un’intesa che ha evitato lo stop alle consegne: «Abbiamo ottenuto un pre-accordo che dovrà essere definito a livello territoriale dopo le assemblee dei lavoratori. Innanzitutto, l’intesa prevede una diminuzione dell’orario lavorativo, come da noi richiesto. Si passerà dalle attuali 44 ore a 43 ore a giugno 2022, per poi arrivare l’anno successivo a 42 ore, senza modifiche al salario. Il nostro obiettivo finale è comunque quello di scendere fino a 39 ore. Sono state poi ritirate precedenti e assurde richieste da parte delle aziende fornitrici di servizi, tra cui quella di non pagare le malattie di breve durata. C’era poi una richiesta per noi assolutamente inaccettabile: controllare i lavoratori attraverso sistemi di videosorveglianza, usufruendo dei loro dati sensibili a scopi disciplinari. Le sanzioni disciplinari, peraltro, hanno un impatto non indifferente sulle retribuzioni. Per fortuna grazie alla nostra lotta anche la videosorveglianza è stata eliminata».
La risposta di Amazon
TPI ha chiesto ad Amazon Italia una replica sulle questioni sollevate dai sindacati. Nonostante la revoca dello sciopero, infatti, diverse problematiche restano sul tavolo. Questa è stata la risposta dell’azienda: «Collaboriamo con decine di fornitori di servizi di consegne che forniscono opportunità lavorative a migliaia di persone in tutto il Paese. I corrieri sono assunti con un salario d’ingresso pari a 1.658 euro lordi al mese per i dipendenti a tempo pieno, e oltre a 300 euro netti mensili come indennità giornaliera. Garantire un’esperienza positiva ai corrieri rappresenta una priorità. Per tale motivo lavoriamo a stretto contatto con i fornitori di servizi di consegna per definire insieme degli obiettivi realistici che non mettano pressione su di loro o sui loro dipendenti».
Quanto ai carichi di lavoro e ai sistemi che li determinano, Amazon ha replicato come segue: «Mettiamo a disposizione una tecnologia di pianificazione delle rotte che prende in considerazione diversi fattori, come il traffico, per determinare quante consegne un autista possa effettuare in sicurezza. Gli autisti sono liberi di decidere se seguire o meno le indicazioni fornite, ma sulla base dell’esperienza questa tecnologia si è dimostrata uno strumento efficace di pianificazione dell’itinerario. Oltre il 96% delle rotte effettuate in Italia viene completato entro la conclusione dell’orario lavorativo e, frequentemente, con largo anticipo rispetto alla conclusione dello stesso.
Questo anche grazie al fatto che le aziende sono pronte, in qualsiasi momento della giornata, a fornire il supporto necessario ai loro dipendenti. Richiediamo che tutti i fornitori di servizi di consegne operino nel rispetto delle normative vigenti e del Codice di Condotta dei Fornitori Amazon, attento a garantire che gli autisti abbiano compensi e orari di lavoro adeguati, ed effettuiamo controlli su ogni segnalazione di non conformità anche per quanto riguarda gli aspetti retributivi, contributivi e la regolarità delle pratiche occupazionali».