Due settimane fa fa Petr Nečas, da primo ministro della Repubblica Ceca, annunciava alla stampa il suo prossimo divorzio dalla moglie Radka. Sereno, il premier sottolineava come la scelta fosse condivisa e sostenuta da entrambe le parti. Nečas, 49 anni, leader del Partito Democratico Civico (Ods), dal giugno 2010 alla guida di un governo di centro-destra, si godeva l’arrivo dell’estate con la popolarità guadagnata nella gestione dell’emergenza alluvione. Mentre la stampa internazionale descriveva la piena della Moldava come una catastrofe biblica, a Praga la situazione era gestita con professionalità ed efficienza, e lo stesso primo ministro non mancava di far sentire la propria presenza, sorvegliando le barriere, chiedendo informazioni ai tecnici sulla diga a monte della città. Per questo governo traballante da mesi, la ritrovata stima dell’opinione pubblica era una boccata d’ossigeno non da poco. Si trattava, ma Nečas ancora non lo sapeva, della proverbiale quiete prima della tempesta.
Nella notte tra il 12 ed il 13 giugno, uomini del reparto anti-crimine organizzato, su mandato della procura di Olomouc (nel sud-est del Paese), hanno fatto irruzione, tra uffici pubblici e di grandi lobbisti, anche nel palazzo del governo e nella sede del Ministero della Difesa. 400 poliziotti in passamontagna per una spettacolare operazione anti-corruzione. Sono finiti in manette anche esponenti dei piani alti, collaboratori di Nečas come il capo del suo ufficio Lubomír Poul, l’attuale capo dei servizi militari di intelligence e il suo predecessore, rispettivamente Milan Kovanda e Ondrej Páleník, l’ex ministro dell’agricoltura Ivan Fuksa, l’ex deputato Ods Petr Tluchoř. Ma tra tutti, spicca il nome di Jana Nagyová, direttrice del gabinetto del premier e, da tempo, amante segreta dello stesso. Nel turbine di pesanti accuse, tra i gravi reati di corruzione, abuso d’ufficio, riciclaggio di denaro sporco e appalti illegali nella capitale, anche un particolare, meno politico: la gelosa amante Jana faceva spiare dai servizi segreti la moglie di Petr, la signora Radka Nečasova.
Scoppia così il Nagygate, come lo scandalo è stato ribattezzato dal settimanale ceco Reflex. Paradossalmente, Nečas aveva impostato la sua carriera politica proprio sulla lotta alla corruzione: come dire, ha perso giocando in casa. Da quanto si legge nei giornali, molti cechi lo credono ancora esterno agli scandali, e forse anche lui inizialmente ha sperato di potersi salvare. Dopo le prime ore di silenzio, giovedì 13, quando già si spargevano voci di un suo malore o, beffardamente, che si fosse nascosto, il premier ha preso la parola per difendere i suoi collaboratori, rigettando la possibilità di dimissioni, andando avanti sino ad accuse confermate. Ma il contropiede non ha funzionato, e nonostante a oggi non risulti indagato, il 16 giugno Petr Nečas si assume la responsabilità politica della crisi e annuncia le sue dimissioni, ufficiali dalla mattina di lunedì. Arrivederci, na shledanou.
Tanto veloce quanto inaspettata, la crisi di governo ha gettato nel caos la maggioranza di centro-destra, in primo luogo i democratici civici, nell’occhio del ciclone. Nel Paese serpeggiano da tempo malumori contro la classe politica, la corruzione dilagante è entrata nello stereotipo dell’amministrazione ceca, il fantasma della crisi economica peggiora le cose. Manca ancora un anno alla fine della legislatura, e se ci fossero nuove elezioni oggi, l’Ods andrebbe incontro a una débâcle elettorale clamorosa, lasciando spazio a una vittoria certa dei socialdemocratici e del partito comunista (il grande contenitore del voto di protesta ceco, che ha raggiunto il 20 per cento alle ultime regionali dello scorso ottobre).
Data la situazione, la maggioranza non vuole tornare alle urne. Si tenta il rimpasto di governo, ma il gioco non è più nella mani della coalizione, bensì in quelle di un ex socialdemocratico: finito il weekend di consultazioni, il presidente della Repubblica Miloš Zeman, a sorpresa, ha annunciato un governo tecnico che guidi il Paese sino a fine legislatura. La decisione è stata resa ufficiale nella conferenza stampa di martedì pomeriggio, 25 giugno. Incoronato premier è Jiří Rusnok, 52 anni, economista, nel 2001 brevemente ministro delle Finanze quando lo stesso Zeman era al governo. Termina qui, per ora, la cronaca di questa crisi, che allontana ancora i cechi dalla politica. Il governo Rusnok (già chiamato “governo Zeman” dai media), nel frattempo resterà in bilico, fragilissimo: sembra che nessuno lo voglia, eppure servono 120 voti su 200, alla camera bassa, per sciogliere il Parlamento. È probabile che, nonostante lo sgambetto politico di Zeman alla maggioranza, tra chi teme le elezioni e chi non ha voglia di lasciare una poltrona, dei sostenitori si riescano a trovare.