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    Storia di un aborto in Brasile

    Anche se è proibito, due ragazze raccontano come hanno fatto a interrompere la gravidanza e a cosa sono dovute andare incontro

    Di Elena Prodi
    Pubblicato il 29 Set. 2014 alle 12:31 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 20:42

    “Ho tentato di abortire più volte. Prima con un infuso di foglie di marijuana, poi con qualche bicchiere di vino rosso e Coca-Cola. Nemmeno bevendo sale disciolto in acqua ha funzionato”.

    Andrea, cameriera poco più che ventenne, sta sparecchiando la tavola di un ristorante alla periferia di Rio de Janeiro. Mentre rassetta, mi racconta con tono un pò diffidente il suo aborto.

    “Ormai ero al terzo mese e, disperata, ho comprato pillole Cytotec. Le ho acquistate su internet, in un sito di incontri che si chiama Orkut. Alcuni profili vengono creati apposta per commercializzare a caro prezzo queste compresse. Basta mandare il proprio indirizzo e fare un versamento su un conto in banca: in pochi giorni ti spediscono una busta trasparente che contiene le pastiglie. Ogni compressa costa cento reais (circa trenta euro) e ne ho dovute assumere quattro. Sono pastiglie effervescenti, due le ho messe sotto alla lingua, le restanti le ho inserite con un dito nella vagina. Poi mi sono sdraiata sul letto e ho aspettato”.

    Andrea mi gira le spalle per riportare i piatti in cucina, ma io insisto perchè concluda. Continua a raccontare con un filo di voce:

    “Mi sono addormentata ma dopo qualche ora mi sono svegliata perchè sentivo delle forti fitte al basso ventre. Allora sono corsa in bagno, mi veniva da vomitare. Ho sentito i pantaloni umidi, me li sono sfilati e mi sono accorta che stavo sanguinando. Il dolore mi piegava in due, allora mi sono accovacciata, le gambe al petto. Ho pregato che finisse il più rapidamente possibile”.

    Il volto di Andrea rimane impassibile. Racconta dell’aborto con distacco, ma sembra soffrirne ancora perchè taglia subito corto: “Se vuoi saperne di più chiedi a mia sorella, lei l’ha fatto cinque volte. Io non avrei voluto ma sono stata costretta. Ho già un figlio e mio marito è in carcere da qualche mese. L’hanno beccato mentre faceva il corriere della droga. Col mio stipendio mangiamo a malapena in due”.

    “Anche io ho già abortito”, commenta una seconda ragazza, snella, bionda, dalla pelle olivastra. Si chiama Flavia e sta spazzando le briciole cadute dal tavolo di fianco al mio. Si ferma e trattiene la scopa con entrambe le mani. 
Senza farle domande, mi racconta la sua esperienza con disinvoltura.

    “Io non ho fatto da sola, mi ha assisitita una signora che abita nella mia stessa comunità, la favela di Vila Kennedy. Insomma, è molto conosciuta, vanno tutte a casa sua per abortire, è un’infermiera”.

    “Ha una stanzetta che ha adibito ad ambulatorio dove riceve le ragazze. Mi ha fatta sdraiare, ha sterilizzato uno spillone da maglia sul fuoco, poi l’ha pulito con il disinfettante. Mi ha detto che avrebbe bucato la placenta per far morire il feto e che non mi avrebbe fatto male. Poi mi ha dato due pillole di Cytotec, una l’ho ingoiata e l’altra l’ho dovuta inserire nella vagina. Alla fine mi ha mandata a casa e mi ha detto di aspettare che la pillola facesse effetto”.

    Il Cytotec è un farmaco utilizzato per la terapia dell’ulcera gastrica, ma viene assunto in tutto il mondo per indurre l’aborto grazie alla sua capacità di provocare contrazioni uterine. Chi assume il farmaco lo fa nella speranza che le contrazioni provochino prima lo scollamento del feto dal collo dell’utero e poi la sua espulsione.

    In Brasile il Cytotec è fuori commercio dal 1998, ma è comunque prodotto per uso esclusivamente ospedaliero dalla sola industria farmaceutica Pfizer Brasil.

    Secondo l’Anvisa, l’agenzia nazionale brasiliana per la vigilanza sanitaria, la maggior parte delle compresse entra di contrabbando da Paraguay, Argentina e Venezuela, Paesi in cui è permessa la commercializzazione dei farmaci abortivi. Si tratterebbe di un contrabbando “a formichina”, indicando come le pastiglie entrino in piccola quantità nel Paese, rendendo difficili i controlli di frontiera.

    L’articolo 128 del codice penale brasiliano condanna l’aborto e chi lo pratica commette un crimine contro la vita, punibile da uno fino a dieci anni di reclusione. Le eccezioni sono previste in caso di stupro e nel caso in cui la gravidanza metta in serio pericolo la vita della gestante.

    Le stime indicano che negli ultimi dieci anni tra i 7,5 e i 9,3 milioni di donne brasiliane hanno praticato l’aborto. Quel che è sicuro è che le interruzioni di gravidanza casalinghe costano alla salute pubblica almeno 142 milioni di reais all’anno. Infatti, un’emorragia che non si arresta o resti embrionali non espulsi dal corpo richiedono l’intervento immediato di un medico.

    L’anno scorso almeno 154.391 donne sono state ricoverate per complicazioni dovute all’aborto autoindotto e si calcola che il numero di aborti farmacologici clandestini si aggiri intorno a 856.668. Solo 1.523 degli aborti praticati nel 2013 sono considerati legittimi, attuati in piena osservanza delle disposizioni previste dal codice penale.

    Oggi molti collettivi femministi sono presenti in tutto il Paese e rivendicano attivamente il diritto all’aborto. Purtroppo, si tratta ancora di deboli e isolati focolai di protesta. 
L’urgenza del problema sembra comunque non interessare più di tanto il governo. Anche in piena campagna elettorale e malgrado la presenza di tre donne in corsa per le presidenziali di ottobre, l’aborto in Brasile rimane un tabù e non rientra nell’agenda politica di nessuno dei candidati.

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