Yvon Chouinard non possiede un computer, né uno smartphone. Per tutta la vita è stato un arrampicatore e un alpinista. Non ha mai voluto essere un imprenditore, si vergogna quasi a dirlo. Eppure, negli ultimi 50 anni, ha creato un marchio di successo a livello mondiale, specializzato in abbigliamento da montagna: Patagonia, un’azienda che oggi è valutata circa 3 miliardi di dollari, e che ha portato Chouinard a occupare di diritto un posto nella lista dei miliardari di Forbes, ma che non ha mai cambiato l’idea negativa che lui ha del capitalismo.
Paradossale criticare le storture di questo modello economico di fronte ai circa 100 milioni di dollari di profitto che Patagonia ottiene ogni anno, si potrebbe pensare. Ma Yvon Chouinard a 83 anni ha alle spalle una storia personale e imprenditoriale rimasta coerente al suo pensiero, e che lo ha portato alcuni giorni fa a dare un annuncio rivoluzionario. La sua famiglia ha infatti donato Patagonia a un trust e a un’organizzazione no profit creati appositamente per garantire che tutti i profitti dell’azienda siano utilizzati per combattere i cambiamenti climatici e proteggere la Terra dalla devastazione che l’uomo ha contribuito a determinare.
«Sono passati quasi 50 anni da quando abbiamo iniziato il nostro esperimento di business responsabile e abbiamo appena iniziato», ha scritto Chouinard in una lettera pubblicata sul sito dell’azienda. «Se abbiamo qualche speranza di un pianeta fiorente, e non solo di un’impresa fiorente, tra 50 anni, è necessario che tutti noi facciamo il possibile con le risorse che abbiamo. Questo è un altro modo in cui abbiamo scoperto di poter fare la nostra parte».
Il meccanismo usato per raggiungere lo scopo che Chouinard si era prefissato è stato ideato appositamente da un gruppo di legali e consiglieri della sua famiglia, dopo che le altre opzioni prese in considerazione non erano state ritenute soddisfacenti. Una di queste era vendere la Patagonia e donare tutti i soldi a scopo benefico. Questo, tuttavia, non assicurava che il nuovo proprietario avrebbe mantenuto i valori dell’azienda o tutelato i dipendenti in giro per il mondo. Un’altra possibilità era quella di quotare la società in Borsa. Ma Chouinard non si fidava. «Che disastro sarebbe stato», si legge nel suo messaggio. «Anche le società ad azionariato diffuso con buone intenzioni sono sottoposte a troppa pressione per creare guadagni a breve termine, a scapito della vitalità e della responsabilità a lungo termine». Così anche questa opzione è stata esclusa.
Dal momento che non c’erano valide soluzioni disponibili, il team di Patagonia ha creato la sua: tutte le azioni con diritto di voto della società (il 2 per cento) sono state trasferite al Patagonia Purpose Trust, creato per tutelare i valori dell’azienda; invece tutte le azioni senza diritto di voto (il restante 98 per cento) sono state devolute all’Holdfast Collective, un’organizzazione no profit dedicata alla lotta alla crisi ambientale e alla difesa della natura. Patagonia ha già donato 50 milioni di dollari all’Holdfast Collective e prevede di contribuire con altri 100 milioni di dollari entro l’anno, rendendo la nuova organizzazione un attore importante nell’ambito della lotta al cambiamento climatico. «Ogni anno, i soldi che guadagneremo, dopo aver reinvestito nell’azienda, saranno distribuiti come dividendi per aiutare a combattere la crisi», assicura Chouinard nel suo messaggio. «Invece di estrarre valore dalla natura e trasformarlo in ricchezza per gli investitori, useremo la ricchezza creata dalla Patagonia per proteggere la fonte di tutta la ricchezza», aggiunge. Per mettere in pratica questa soluzione, la famiglia pagherà 17,5 milioni di tasse, senza alcun beneficio fiscale, come sarebbe stato invece possibile se avesse optato per altre strade.
Yvon Chouinard nasce nel 1938 in America, nel Maine, in una famiglia proveniente dal Canada francese. Suo padre era un tuttofare, idraulico e meccanico. Nel 1947 i Chouinard si trasferiscono in California, dove il giovane Yvon frequenta il liceo. Ma le vere passioni del ragazzo sono il surf e la scalata.
Alla fine degli anni Cinquanta, inizia a costruire chiodi da roccia che all’occorrenza vende agli altri appassionati. Nel giro di poco tempo fonda la Chouinard Equipment, Ltd: azienda che nel 1970 è già diventata il maggior fornitore di attrezzatura per arrampicata e alpinismo degli Stati Uniti. Proprio in quegli anni però, scopre che i chiodi danneggiano la roccia, lasciando cicatrici visibili su intere pareti ed esponendole a frane. Insieme al suo socio e celebre alpinista americano Tom Frost, inventa un’alternativa: i dadi in alluminio che possono essere incastrati e rimossi a mano dalle fessure, e si adopera per spiegare ai clienti i pericoli ambientali dei chiodi.
Nello stesso periodo, con la compravendita di magliette da rugby acquistate in Scozia e rivendute negli Stati Uniti, inizia l’espansione della sua attività imprenditoriale nel settore dell’abbigliamento outdoor. È il primo passo per la nascita di Patagonia, che arriverà nel 1973.
L’azienda con sede a Ventura, in California, è stata pioniera nell’attivismo ambientale. Sin dagli anni Ottanta, inizia a donare l’1 per cento delle sue vendite a gruppi ambientalisti, con un programma formalizzato nel 2001 col nome di “1% for the Planet Scheme”, che porta a 140 milioni di dollari in donazioni per la conservazione e il ripristino dell’ambiente naturale.
Patagonia è inoltre una delle prime aziende a diventare una B-Corporation, ottenendo una certificazione sul soddisfacimento di determinati standard ambientali e sociali, e recentemente ha cambiato la sua missione con la seguente formulazione: «Siamo in affari per salvare il nostro pianeta».
Chouinard è stato sempre molto attento anche ai bisogni dei suoi dipendenti, prevedendo asili nido in loco e pomeriggi liberi nelle giornate ideali per il surf. «Tutti i dipendenti hanno bisogno di orari flessibili per poter andare a fare surf quando ci sono le onde giuste o a sciare quando c’è la neve, o poter stare a casa ad accudire un bambino con l’influenza», ha dichiarato.
L’83enne, che ha vissuto per molti anni fuori dal suo furgone seguendo le varie destinazioni di arrampicata, oggi vive tra due modeste case a Jackson, nel Wyoming, e a Ventura. Indossa abiti vecchi e logori, e per spostarsi usa una malconcia Subaru.
Al New York Times ha detto di essere inorridito quando ha saputo di essere stato definito un miliardario: «Ero sulla rivista Forbes come miliardario, il che mi ha davvero, davvero fatto incazzare», ha detto. «Non ho un miliardo di dollari in banca. Non guido delle auto Lexus».
Questo disagio lo ha spinto a voler trovare una soluzione a lungo termine per la società. «Non sapevo cosa fare dell’azienda perché non ho mai voluto un’azienda», ha detto Chouinard nell’intervista. «Non volevo essere un uomo d’affari. Ora potrei morire domani e l’azienda continuerà a fare la cosa giusta per i prossimi 50 anni, e io non devo essere presente».
Così con la moglie Malinda e i suoi due figli, Fletcher e Claire, entrambi quarantenni, Chouinard ha deciso di far diventare la Terra “unica azionista” di Patagonia, come recita il titolo della sua lettera. Lui e Malinda hanno abbastanza risparmi per vivere comodamente il resto della loro vita, mentre i figli continueranno a lavorare per l’azienda, che però non distribuirà più alcun utile alla famiglia.
«Speriamo che questo influenzi una nuova forma di capitalismo che non si risolva con pochi ricchi e un sacco di poveri, stiamo cedendo la massima quantità di denaro a persone che stanno lavorando attivamente per salvare questo pianeta», ha detto l’imprenditore al New York Times. «Mi sento molto sollevato ad aver messo in ordine la mia vita. Per noi questa era la soluzione ideale».
Per l’imprenditore, non si tratta di idee nuove: nel libro intitolato Let my people go surfing. La filosofia di un imprenditore ribelle (Ediciclo, 2018) Chouinard scrive: «Sono più di sessant’anni che faccio l’imprenditore. Faccio fatica a dirlo: è come ammettere di essere un alcolizzato o un avvocato. È una professione che non ho mai rispettato. Buona parte dell’imprenditoria è ostile alla natura, distrugge le culture autoctone, ruba ai poveri per dare ai ricchi e avvelena la terra con gli scarichi delle fabbriche. Ma l’imprenditoria può anche produrre cibo, curare malattie, controllare la crescita demografica, dare lavoro e in generale arricchire le nostre vite. E può farlo guadagnandoci e senza rinunciare alla propria anima. (…) I miei valori sono il risultato di una vita vissuta nella natura e della mia passione per gli sport cosiddetti estremi. Io, mia moglie Malinda e gli altri ribelli di Patagonia abbiamo imparato da questi sport, dalla natura e dal nostro stile di vita alternativo, e abbiamo applicato queste lezioni alla gestione della nostra azienda».
Un altro esempio della visione imprenditoriale di Chouinard è l’annuncio fatto pubblicare sul New York Times alcuni anni fa in occasione del Black Friday, quando Patagonia ha scoraggiato, di fatto, i consumatori dall’acquistare i suoi prodotti, con lo slogan: «Non comprare questa giacca». Lo scopo? Affrontare apertamente e “a testa alta” la questione del consumismo, invitando i consumatori a pensarci due volte, prima di fare un acquisto.
Chouinard non è l’unico miliardario che si è attivato in prima persona e a proprie spese per scopi benefici. Un altro esempio è rappresentato dal Giving Pledge, la campagna lanciata da Bill Gates e Warren Buffett nel 2010 per ispirare le persone più ricche del mondo a destinare almeno la metà del loro patrimonio netto alla filantropia, e che finora ha raccolto 230 sottoscrizioni da 28 Paesi del mondo. Tuttavia, come ha spiegato il fondatore del sito web Inside Philanthropy, David Callahan, al New York Times, l’“anomalia” di Patagonia è che mentre «la maggior parte dei miliardari regala solo una piccola parte del proprio patrimonio netto ogni anno», la famiglia Chouinard ha donato la maggior parte del proprio patrimonio, entrando a pieno titolo tra le famiglie più generose degli Stati Uniti.
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