Durante la sua ultima cena con i corrispondenti della casa Bianca, il presidente Obama ha scherzato dicendo “la fine della repubblica non è mai apparsa così bella”.
Con Trump ormai candidato repubblicano in pectore e con Hillary Clinton che perde costantemente terreno nei suoi confronti nei sondaggi nazionali, è ora che milioni di americani emergano dallo stato di negazione che dura ormai da un anno e affrontino la realtà: Trump potrebbe essere il 45esimo presidente degli Stati Uniti.
Ovviamente potrebbe ancora succedere di tutto da qui a novembre. Tuttavia, illudersi che la sconfitta di Trump sarà l’inevitabile conclusione della corsa presidenziale non è solo eccessivamente ottimistico, ma gioca a favore di quest’ultimo che è stato bravo finora a capovolgere le aspettative a proprio vantaggio.
Per quanto dispiaccia ammetterlo, la verità è che la campagna di Trump è stata storica. Comunque vada a novembre, la sua corsa alla Casa Bianca ha messo a nudo i limiti (o anche l’irrilevanza) dei consulenti per le campagne elettorali di Washington, che una volta erano tenuti in grande stima; in primo luogo, la responsabilità dei media per l’ingorda copertura garantita al candidato presidenziale, che ha dato alla sua campagna elettorale una maggior esposizione mediatica rispetto a tutto gli altri candidati repubblicani messi insieme. In secondo luogo, la disaffezione della base repubblicana rispetto alla leadership del Gop; e la misura in cui la misoginia, la xenofobia, e il razzismo conclamato restano profondamente radicati nella cultura americana.
La campagna di Trump ci ha costretti ad ammettere che la correttezza politica è riuscita non a ridurre, ma solo a reprimere l’odio e il razzismo.
Vorrei però azzardare un’affermazione che forse risulterà controversa. Se Trump vincesse le elezioni, non sarebbe a causa dei fattori appena menzionati (anche se ognuno di essi ha giocato un ruolo): sarà perché c’è una cosa che gli americani amano molto più di una leadership competente, più della sicurezza, anche più di fare soldi: l’intrattenimento.
Trump porta in politica lo spettacolo come non si era mai visto in tempi moderni. Non si tratta di una semplice estensione enfatica dell’ordinario teatro politico, che tradizionalmente ha presentato capi di governo solenni, composti, legittimi e con tutta l’apparenza di solidi uomini di stato.
In effetti, la caratteristica volgarità politica di Trump rappresenta, tra le altre cose, la distruzione stessa del teatro politico, il ripudio di ogni minimo standard di decenza, cortesia e rispetto.
Il vantaggio di ridurre la politica a intrattenimento di massa è che capovolge tutte le regole: essere “presidenziale” significa essere noiosi; essere preoccupati dai fatti, dalle argomentazioni razionali e dalla realtà oggettiva significa essere banali, troppo intellettuali e noiosi; essere rispettosi delle differenze e preoccuparsi dei meno fortunati significa disprezzare se stessi, essere molli ed essere noiosi?
Questo è un problema in particolare per Clinton, perché le medesime caratteristiche che generalmente vengono ritenute i suoi punti di forza – la cognizione di causa, l’esperienza, un temperamento freddo e razionale – in questo universo sottosopra potrebbero essere usate contro di lei a vantaggio del suo avversario.
Si potrebbe pensare che Trump sarebbe facilmente stracciato in un dibattito contro Clinton, almeno se non comincia seriamente a studiare, per così dire. Il suo recente incontro con Kissinger potrebbe indicare che non è affatto ignaro di ciò e che sta prendendo delle precauzioni.
Ma, ed è triste doverlo ammettere, ciò conferisce al pubblico americano troppo credito. Più Clinton sembra competente ed esperta, più allontana gli innumerevoli americani che detestano le élite istruite, grazie a Trump. Il magnate di New York sta canalizzando un’ondata tutta americana di anti-intellettualismo.
Trump ha fatto una scoperta, ha capito cosa vogliono davvero molti americani e non si tratta di politiche dall’aria razionale, né di proposte ragionevoli che riflettono il meglio dei valori americani, e sicuramente non un impegno nell’infinita lotta per la verità e la giustizia.
Ciò che vogliono è sintetizzato da H.L. Mencken quando osserva che “Mentre la democrazia si perfeziona, l’ufficio del presidente rappresenta sempre più da vicino l’anima del popolo. Un giorno, che sarà grande e glorioso, la gente comune realizzerà finalmente il suo sogno e la Casa Bianca sarà occupata da un idiota totale, un completo imbecille e narcisista”.
Quindi, tornando alla domanda iniziale: l’America sopravvivrà all’amministrazione Trump? Sì. Questo paese ha avuto presidenti terribili in passato, ma gli Stati Uniti sono più grandi di qualsiasi capo di governo, non importa quanto tronfio, egocentrico e seminatore d’odio sia.
La vera domanda è: possiamo sopravvivere al completo assorbimento della politica nella cultura dell’intrattenimento di massa? Di questo, non sono sicuro.
— Analisi di Sam Ben-Meir, professore di filosofia all’Eastern International College. Attualmente le sue aree di ricerca sono l’etica ambientale e imprenditoriale.
— Traduzione a cura di Paola Lepori