Il Sunday Times attacca BOF: “È in conflitto di interesse”
L’editoria specializzata vive non solo di competenza, ma di autentica passione per il settore che racconta. E, di conseguenza, per i suoi brand più importanti. Questo può rappresentare il punto di forza dei media, particolarmente appetibili sul piano pubblicitario, ma l’altra faccia della medaglia è il rischio di essere visti come troppo “vicini” a certe aziende, fino a dare l’impressione di perdere la necessaria terzietà di giudizio.
L’ombra del dubbio può toccare anche le testate più prestigiose, come è senza dubbio BOF – The Business of Fashion, almeno per quanto riguarda il segmento della moda. A idearla è stato Imran Amed che per inseguire la propria passione ha lasciato un posto lautamente pagamento come consulente della McKinsey. Nel 2007 BOF era solamente un blog, mentre oggi è una vera e propria corazzata, la cui newsletter viene ricevuta sei mattine su sette da circa 600.000 abbonati. Tra questi c’è anche Anya Hindmarch, designer di accessori che qualche anno fa ha confessato a “Vogue”: “È la prima cosa che leggo la mattina, prima ancora di alzarmi dal letto e di vedere i miei figli”. Amed non esagera quando dice che i suoi aggiornamenti via email possono “diventare una dipendenza”.
Nella sua scalata al vertice del giornalismo modaiolo, BOF ha trovato sostegni prestigiosi come quelli del Financial Times e di LVMH, il colosso che possiede grandi marchi quali Christian Dior. Colpi giornalistici come l’anticipazione del divorzio tra la stilista Phoebe Philo e la maison francese Céline hanno contribuito a costruire una credibilità che ora qualcuno però mette in discussione.
Ne ha parlato nei giorni scorsi il Sunday Times, citando documenti secondo i quali la situazione di BOF non sarebbe rosea come potrebbe sembrare dall’esterno: se i ricavi sono saliti del 23%, i costi operativi sono cresciuti addirittura del 64%, provocando una perdita 5,6 milioni di sterline nel bilancio dello scorso anno. “Alcuni insider del settore pensano che le crescenti perdite e il bisogno di iniezioni di capitale fresco espongano BOF alla pressione (esplicita o implicita) da parte di investitori, che poi si aspettano un trattamento di favore. La testata però smentisce con forza questa evenienza”, scrive Oliver Stah.
L’attenzione del quotidiano si concentra su un presunto conflitto di interessi riguardante partecipazioni azionarie incrociate. Viene citato ad esempio Frederic Court, che fa parte del board di BOF e nel contempo possiede l’8,3% di Farfetch, piattaforma online per la vendita di alta moda. Oppure Jon Kamaluddin, ex direttore internazionale della piattaforma Asos, che è anche investitore di BOF e membro del board di Farfetch.
La testata inglese riporta le accuse di un non meglio specificato “analista di una banca di Wall Street”, il quale ipotizza che BOF abbia un occhio di riguardo per Farfetch, usando invece toni più severi per i suoi competitor e in particolare per Yoox Net-a-Porter (YNAP). Nell’articolo c’è anche un suo virgolettato molto esplicito nell’attaccare la testata: “La relazione con Farfetch è straordinaria. Prima dell’offerta pubblica iniziale, BOF è stata usata da Farfetch come strumento di marketing, in maniera decisamente scandalosa. Sembrava che dessero una mano ad alzarne la valutazione, in quanto hanno iniziato a magnificare questo marketplace, confrontandolo con YNAP che invece veniva descritto come mediocre. Poi hanno scritto che la valutazione era in crescita: tre mliardi di dollari, poi quattro e poi cinque”.
Il Sunday Times poi cita un altro analista, questa volta con nome e cognome. Si tratta di Flavio Cereda di Jefferies, il quale afferma: “Molti contenuti sono di tipo borderline, a pagamento, c’è un conflitto di interessi con gli azionisti”. La presunta vicinanza di BOF a Farfetch è stata smentita da “una fonte molto vicina” alla piattaforma: “Semmai, mi fa irritare il fatto che siano eccessivamente duri nei nostri confronti, particolarmente dopo l’offerta pubblica”. Da parte sua BOF ha sempre difeso la propria integrità editoriale, anche per distinguersi da altre testate che sono inciampiate proprio sul conflitto di interessi, e si fa vanto della netta distinzione che c’è tra gli articoli della redazione e quelli a pagamento – prodotti all’esterno e chiaramente indicati – nonché della regola che impedisce ai suoi giornalisti di accettare regali, con la sola eccezione delle spese di viaggio, che tuttavia vanno rese pubbliche.
Per ironia della sorte, la prima a credere nel progetto editoriale di Amed era stata proprio Natalie Massenet, fondatrice di Net-a-Porter. Il Sunday Times a proposito ricorda una serie di lunghi articoli pubblicati nel 2016 sulla fusione con Yoox, pezzi che “furono generalmente considerati favorevoli a Massenet e che, a quanto si dice, hanno irritato Federico Marchetti, che aveva assunto il ruolo di guida della neonata YNAP”.
Non tutte le opinioni convergono sulla mancanza di credibilità di BOF: i suoi sostenitori ricordano anche articoli non certo teneri nei confronti di Farfetch (ad esempio “Why Farfetch’s freespending ways have some investors concerned” e “A cloudy picture at Farfetch”, entrambi del 2019) e altri nei quali YNAP ne esce decisamente bene (come “Mobile drove Yoox Net-a-Porter’s record 2017”).
Come per tutte le testate, online e offline, il giudizio che veramente conta è quello dei lettori. E, almeno fino ad ora, il successo del progetto di Imran Amed è davvero indiscutibile.
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