Il 24 maggio il tribunale penale di Omdurman, in Sudan, ha confermato la condanna a morte per Noura Hussein Hammad, la ragazza di 19 anni in prigione da quasi due, costretta a un matrimonio combinato e accusata per essersi difesa dal marito che voleva stuprarla.
Gli avvocati di Noura hanno fatto appello presentando una perizia medica che mette in evidenza come al momento dell’arresto di Noura , nel maggio 2017, la ragazza riportasse ferite di difesa: tagli alle mani, segni di morsi sulla spalla. Anche il letto nel quale dormivano fu rotto durante la colluttazione.
“Noura è una ragazza molto forte ma è stata completamente abbandonata dalla sua famiglia, da un anno e mezzo è rinchiusa nel carcere di Omdurman, la più grande città del Sudan, nessuno va a trovarla, non riesce a farsene una ragione, non capisce perché nonostante sia stata abusata sessualmente tutti l’abbiano rinnegata e ora sia stata condannata a morte”.
Nahid Jabrallah, direttrice di Seema (Centre for Training and Protection of Woman and Child’s Rights), è l’unica persona che si sta occupando di Noura Hussein Hammad, ed è l’unica che la incontra in carcere insieme agli avvocati.
Noura porta con sé una grande sofferenza: a 13 anni, contro la sua volontà, viene data in sposa per un matrimonio combinato con un suo cugino di secondo grado.
Nonostante il suo rifiuto, il matrimonio religioso viene celebrato, Noura fugge e trova protezione a casa di alcuni parenti a Sinnar. Dopo due anni vissuti lontano dalla famiglia, Noura decide di tornare a casa.
“Il legame con la famiglia nel mondo musulmano è molto forte, è difficile stare lontani dai genitori e cossì Noura decide di tornare dal padre”.
Ce lo racconta Sodfa Daaji, del network europeo donne migranti, che si sta occupando del caso di Noura insieme ad altri attivisti, per coinvolgere Unicef e altre associazioni e salvare la vita di questa ragazza che sogna ancora di diventare un avvocato.
A 15 anni Noura e il marito celebrano anche il matrimonio legale: ora Noura può consumare il matrimonio, secondo la legge del Sudan.
Ma la ragazza non vuole, i due sposi vanno in luna di miele a Khartoum, dove, dopo giorni di rifiuto, Noura viene violentata dal marito che la costringe a fare sesso in presenza di altri parenti.
Il giorno successivo, il 3 maggio 2017, il marito cerca nuovamente di violentarla, ma Noura reagisce e lo accoltella, ferendolo a morte.
“‘O muori tu, o muio io’, le ha detto il marito durante lo scontro”, racconta Sodfa.
La forza delle disperazione la spinge a difendersi uccidendo il suo aguzzino.
Noura torna nuovamente dalla famiglia, sperando di essere aiutata, ma il padre la consegna alla polizia.
“Noura viene completamente rifiutata dalla famiglia, per i genitori non è più la loro figlia”, racconta Nahid.
Il 19 aprile 2018, Noura viene incriminata e condannata a morte tramite impiccagione*.
“In Sudan vige la Shariʿah (o sharia), la legge islamica, secondo cui l’omicidio viene punito con la pena di morte. C’è un solo articolo, il 130 del codice penale, che disciplina la punizione per omicidio”, ci spiega Sodfa.
“L’articolo 130 definisce ‘l’intentional murder’”, specifica Sodfa, “mentre il 131 è l’inintentional murder. Questo per fare chiarezza. In Sudan viene riconosciuto l’inintentional murder, ma non è applicabile per Noura. Inoltre, in Sudan, da due anni è riconosciuto il marital rape, ma non è applicabile nel caso di Noura, in quanto è condannata per omicidio premeditato e non viene preso in considerazione lo stupro eseguito dal marito”.
Contrariamente ai luoghi comuni, la Shariʿah non è stata imposta in Sudan dal regime del presidente Omer El Bashir ma dal colonnello Gaafar Nimeiry per consolidare il suo potere ottenuto tramite colpo di stato dell’ottobre 1971.
La Shariʿah è stata mantenuta dal regime Bashir non per convinzioni religiose ma per convenienze politiche.
L’applicazione della Shariʿah è congegnale per i regimi dispotici (tra i quali Arabia Saudita, Baharain e Qatar) in quanto è un ottimo strumento di controllo sociale e una moneta di scambio per assicurarsi il sostegno della corrente ortodossa islamica che, nel caso del Sudan, ha occupato un ruolo fondamentale nella vita politica del paese dopo l’indipendenza.
La classe dirigente e l’alta borghesia non sono soggetti alla Shariʿah. A loro è richiesto solo la discrezione.
Se si accetta di pagare cifre astronomiche (attorno al 350 per cento in più del prezzo di acquisto per i prodotti alcolici) si può realizzare qualsiasi desiderio. Il “peccato” deve però essere consumato tra le mure domestiche.
Ed è proprio il riscatto economico quello che potrebbe salvare Noura: “se la famiglia del marito accettasse il pagamento della multa, al posto della condanna a morte, Noura potrebbe essere salvata. Ma è molto difficile. La famiglia di lui è ricca e non ha bisogno di soldi, preferisce la rivincita”, ci spiega Nahid.
“Noura spera ancora, crede in dio e aspetta per la misericordia. Ma nessuno in tutto questo tempo si è preso cura di lei, non un vestito le è stato inviato, è l’unica prigioniera che non riceve visite. Solo di recente ha ricevuto la testimonianza delle persone che nel mondo si stanno muovendo per aiutarla. Vedere le foto dei sostenitori l’ha resa felice e speranzosa. Conserva ancora i suoi sogni, dice che vuole studiare per diventare avvocato e proteggere le persone dalle ingiustizie”.
Sodfa e Nahid sanno che per Noura ci sono poche possibilità ma non si arrendono, così stanno cercando di coinvolgere anche il presidente del Sudan per chiedergli di concedere la grazia e salvarle la vita.
“Sono ottimista, credo che vinceremo l’appello, altrimenti ci presenteremo alla Corte Suprema”, ha affermato Nahid. “È un lungo viaggio”.