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    La sonda Rosetta termina la sua missione spaziale

    Dopo dieci anni di viaggio e due al seguito della cometa, la sonda si schianterà contro il corpo celeste stesso

    Di TPI
    Pubblicato il 30 Set. 2016 alle 10:40 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:18

    Una delle più audaci missioni spaziali mai intraprese sta per giungere al termine. La sonda Rosetta, che negli ultimi due anni ha seguito una cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, venerdì 30 settembre entrerà in rotta di collisione con il corpo celeste stesso.

    Gli scienziati dell’Agenzia Spaziale Europea hanno comunicato che il satellite è giunto al termine della sua missione, ma vogliono avere alcune misurazioni finali ravvicinate alla cometa.

    Infatti, mentre scenderà verso una zona molto attiva, con cavità da cui fuoriescono gas e polveri, Rosetta raccoglierà immagini ad alta risoluzione, ricche di indizi che aiuteranno a ricostruire l’alba del Sistema Solare.

    “Siamo pronti per l’impatto finale sulla cometa”, ha osservato sul sito dell’Esa il direttore delle operazioni spaziali della missione, Paolo Ferri. Il ‘pilota’ di Rosetta, Andrea Accomazzo, direttore di volo della missione, ha spiegato che la sonda “non è stata progettata per un impatto, dunque non sopravvivrà di sicuro, non c’è dubbio”.

    Il viaggio di Rosetta era iniziato dieci anni fa e nel 2014 aveva raggiunto la cometa. Per 25 mesi la sonda ha vissuto accanto al corpo celeste e ha raccolto oltre 100mila immagini e rilevazioni, che hanno dato informazioni senza precedenti sul comportamento delle comete, sulla loro struttura e composizione chimica.

    Nel novembre del 2014 da Rosetta era stata fatta partire anche la sonda Philae che era atterrata sulla superficie della cometa per raccogliere ulteriori informazioni, segnando un precedente storico nelle esplorazioni del cosmo.

    Gli scienziati ritengono che le comete, formate principalmente da ghiaccio e polvere, siano i residui rimasti dalla condensazione della nebulosa da cui si formò il Sistema Solare, e per questo il loro studio potrebbe garantire un punto d’osservazione privilegiato sulle condizioni dell’universo quattro miliardi e mezzo di anni fa.

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