Sanchez non ottiene la fiducia al parlamento. Il 25 luglio ci sarà una nuova votazione per la maggioranza relativa
Il leader del partito socialista Pedro Sanchez non ha ottenuto la fiducia per la formazione del governo in Spagna. A pesare è stata soprattutto l’astensione di Podemos anche se l’accordo raggiunto tra i due partiti dopo il ritiro di Iglesias non sembra ancora del tutto saltato.
“Volevamo votare no ma questa mattina abbiamo cambiato idea e abbiamo votato l’ astensione. Il nostro è un gesto per continuare a facilitare i negoziati, che abbiamo portato avanti negli ultimi due mesi, facendo molte rinunce”, ha dichiarato Ione Belarra Urteaga di Podemos, membro del Congresso dei Deputati della Spagna dal 2016. ” Il Partito socialista ha detto di no a ogni nostra richiesta e non si è mosso di un millimetro nonostante tutti i nostri sforzi di dialogo”, ha aggiunto.
52 in totale le astensioni, 170 i voti contrari, mentre quelli favorevoli sono stati soltanto 124. Nella votazione di oggi Sanchez aveva bisogno di una maggioranza assoluta di almeno 176 voti su 300 per poter formare il governo. A votare contro sono stati il Partito Popolare con 66 voti, i Popolari di Pablo Casado, i Ciudadanos di Albert Rivera e i 24 parlamentari di Vox. Niente fiducia anche da parte dei 14 deputati repubblicani di Erc, che aprono però all’astensione per la seconda votazione.
L’iter del voto di fiducia
Il prossimo appuntamento è infatti previsto per giovedì 25 luglio, con un nuovo voto al parlamento. Questa volta al leader socialista basterà ottenere una maggioranza relativa per diventare premier. Una coalizione tra Podemos e il Partito socialista (Psoe) permetterebbe di formare il governo, ma gli ostacoli restano molti.
Il 19 luglio il volto di Podemos Pablo Iglesias ha accettato le condizioni di Sanchez, che per un’eventuale alleanza aveva posto il veto sul suo nome. Il nodo problematico adesso restano i ministri. Iglesias chiede che alcune cariche ministeriali siano destinate ai rappresentanti di Podemos, mentre i socialisti sembrano scettici su questa ipotesi. Qualora l’accordo non si dovesse trovare ripartirebbe una nuova negoziazione di due mesi per formare il governo, dopodiché il re sarà costretto a sciogliere le Camere e a indire nuove elezioni.