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    Né di estrema destra, né neofascisti: la variegata storia dei sovranisti europei

    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 16 Set. 2018 alle 07:00 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 01:32

    “L’estrema destra avanza in Europa” è una frase che abbiamo sentito in molte occasioni dopo i risultati elettorali di diversi Paesi del continente, nei quali abbiamo assistito all’avanzata e talvolta al successo di movimenti sovranisti che si battono contro le istituzioni europee e contrari all’immigrazione che spesso vengono etichettati come “di estrema destra” o addirittura “neo-fascisti”. Per quanto alcuni di essi provengano originariamente senza dubbio dalla tradizione dell’estrema destra, a partire dal Front National francese di Marine Le Pen, e molte delle loro posizioni soprattutto in materia di Europa e immigrazione coincidano con quelle dei partiti tradizionalmente di destra, la storia di molti di questi partiti e movimenti sovranisti è molto diversa.

    Questi movimenti sono oggi accomunati da una serie di idee, come la critica alle istituzioni comunitarie, l’opposizione all’accoglienza indiscriminata dei migranti e la volontà del rispetto dei confini, ma differiscono su molte altre, diverse caso per caso. Per arrivare a queste posizioni simili i partiti hanno fatto percorsi diversi, partendo da posizioni e idee anche molto diverse tra di loro, ma tutti insieme sono arrivati ad alcune conclusioni comuni che sono state determinanti per la crescita del loro consenso, soprattutto dopo la crisi economica e quella dei migranti.

    Oggi, inoltre, tali partiti e movimenti sovranisti sono spesso definiti in maniera sommaria come “di estrema destra”, talvolta “razzisti”, “xenofobi”, ma non sempre è così e forse anche questa confusione non aiuta a comprendere le ragioni del loro successo. Molte di queste forze politiche, ad esempio, hanno origine nell’ambito della tradizione liberale ma ha visto, nel tempo, nell’arrivo indiscriminato di migranti, nell’impossibilità di gestire autonomamente i propri confini o la propria moneta, minacce per i valori della libertà e della democrazia per i quali il partito era nato.

    Quest’area definita sovranista, o alt-right in un’accezione più americana, è accomunata dalle idee che abbiamo già elencato e da un crescente successo nelle ultime tornate elettorali. Al suo interno, rimanendo solo nei confini dell’Unione europea, possiamo inserire in Italia Movimento Cinque Stelle e Lega, in Francia il Front National, in Germania l’Alternative fur Deutschland, in Ungheria Fidesz, partito del premier Viktor Orban, e il movimento Jobbik, nei Paesi Bassi il Partito della Libertà (PVV), in Austria il Partito della Libertà (FPO), in Svezia i Democratici Svedesi, in Grecia Alba Dorata, in Bulgaria i Patrioti Uniti, in Danimarca il Partito del Popolo Danese e in Finlandia i Veri Finnici.

    Questo omettendo altri movimenti più piccoli che non hanno attualmente sufficiente forza per entrare in parlamento o la hanno ma è stata messa in secondo piano dal successo di altri che hanno saputo catalizzare meglio il voto su questi temi, come ad esempio è il caso nel nostro Paese di Fratelli d’Italia, e il singolare caso dell’UKIP britannica, che con la vittoria al referendum sulla Brexit ha di fatto raggiunto il proprio principale obiettivo

    Il Front National di Marine Le Pen

    Come abbiamo detto, il Front National francese di Marine Le Pen (che quest’anno ha cambiato nome in Raggruppamento Nazionale) è un partito che nasce chiaramente nell’ambito dell’estrema destra, nello specifico in seno al movimento Ordre Nouveau, che raccoglieva al proprio interno esponenti del nazionalismo di destra e prese concretamente come esempio il Movimento Sociale Italiano.

    Dopo il passaggio della leadership da Jean-Marie Le Pen a sua figlia Marine, il partito ha in parte abbandonato la sua storia iniziale, arrivando durante la campagna presidenziale del 2017 a prendere come esempio il generale Charles De Gaulle, visto come un nemico dai primi esponenti del Front National, che non condividevano tra le altre cose la posizione dello storico leader sulla guerra d’Algeria. Solo uno dei tanti cambi che hanno cercato di far uscire dallo steccato dell’estrema destra il Front National per lanciarlo come movimento di massa contro l’Europa, l’immigrazione e le edite capace di arrivare primo partito del paese alle europee del 2014 con il 24 per cento dei voti e ottenere un secondo posto alle presidenziali del 2017, quando la Le Pen venne sconfitta al ballottaggio da Emmanuel Macron.

    L’AfD tedesca, da elite critica a sovranisti di popolo

    Già però varcando il Reno e osservando l’AfD tedesca, troviamo una storia completamente diversa. Questo partito nacque nel 2013, in vista delle elezioni federali di quell’anno e delle europee dell’anno successivo, con il sostegno di un manifesto firmato da economisti e uomini d’affari preoccupati per la crisi dell’eurozona. Se questa posizione non rappresenta un fatto insolito per molti movimenti di tutto il continente, l’AfD la proponeva in maniera diversa: non si poneva infatti come una formazione che voleva uscire dall’euro per evitare il divario con i paesi più ricchi e stabili, ma una formazione che vedeva nei paesi più provati dalla crisi una zavorra per la propria crescita. Il tutto, seguendo in gran parte idee di stampo liberale.

    Divenuto grazie a questa posizione il principale movimento anti-euro tedesco, l’AfD ha con il tempo catalizzato i voti della popolazione euroscettica, ottenendo grande consenso nell’est del paese, zone che vedevano tradizionalmente l’estrema destra dell’NPD più forte che in altre aree e in cui la Linke, partito di sinistra, otteneva i suoi migliori risultati. Gradualmente il partito ha così inasprito le proprie posizioni anti-euro e anti-immigrazione, sposato talvolta posizioni nazionaliste e messo in secondo piano le posizioni liberali e l’aspetto elitario dovuto al manifesto firmato dagli economisti nel 2013 del primo periodo. Alle elezioni federali del 2017 il partito ha raggiunto il suo miglior risultato, il 12,6 per cento.

    Il liberale Wilders, contro l’immigrazione, l’Ue e gli estremismi

    Di origine liberale è anche il PVV olandese, fondato dal suo attuale leader, Geert Wilders. Egli infatti fu originariamente allievo di Frits Bolkestein, politico di centrodestra olandese noto per aver emanato una contestata regola sul commercio quando faceva parte della commissione europea. Wilders tuttavia, cresciuto in un partito liberal-conservatore, si è gradualmente allontanato dal suo partito, prendendo posizioni sempre più nette contro l’estremismo islamico e venendo espulso dal partito perché ritenuto troppo a destra.

    Determinanti nelle scelte di Wilders sono stati senza dubbio due episodi: il primo fu l’omicidio del politico olandese Pim Fortuyn, avvenuto nel 2002 per mano di un attivista animalista contrario alle sue posizioni anti-islamiche. Fortuyn, per la cronaca, era un politico formatosi a sinistra ma che vi si era allontanato proprio perché voleva fermare l’immigrazione islamica, ma che mantenne sempre posizioni liberali, soprattutto in favore delle minoranze sessuali – era anche dichiaratamente omosessuale -, che, insieme a molti valori occidentali, vedeva minacciate dalla crescente presenza islamica. Anche questo è importante per comprendere l’apparentemente singolare caso del PVV olandese.

    L’altro episodio fu un tentativo di attentato contro lo stesso Wilders da parte di un gruppo estremista islamico, l’Hofstad Network, avvenuto nel 2004, in seguito al quale è stata assegnata al politico un’ingente scorta. Quest’ultimo episodio avvenne solo alcuni mesi dopo che era stato espulso dal partito liberal-conservatore VVD dove aveva sempre militato e aveva, per questo, formato il PVV.

    Per quanto questo partito sia anti-immigrazione e contro l’Unione europea, le posizioni di Wilders sono in gran parte liberali, cosa che mostra come sia variegato l’universo europeo dei cosiddetti movimenti sovranisti. Nel 2009, ad esempio, aveva chiarito che i suoi alleati non erano Le Pen o Haider e che vedeva come proprio modello Margareth Thatcher.

    Da conservatori, a liberali, a sovranisti: l’FPO austriaco

    Il caso austriaco ha molte cose in comune con quello olandese. L’FPO, infatti, affondava le proprie radici nel nazionalismo liberale ottocentesco dell’impero asburgico. Nacque ufficialmente, nella sua forma attuale, nel 1956, quando l’Austria si apprestava a una nuova vita nell’Europa post-bellica, della cortina di ferro, con il ruolo di paese neutrale. Al partito aderirono diversi ex personaggi legati al nazismo, ma anche antifascisti, liberali e tutte le figure che non si riconoscevano nei socialisti e nei popolari, i due principali partiti austriaci. L’FPO fu funzionale nell’Austria di quegli anni a reintrodurre nella vita politica democratica anche figure che avevano aderito al nazismo, trovando insieme ad altri spazio in una formazione con posizioni liberali di destra.

    Nel 1980 Norbert Steger trasformò l’FPO in un partito liberale tradizionale, cercando di farne un terzo polo competitivo tra i socialdemocratici e i popolari. Fu però a partire dal 1986 che con la leadership di Georg Haider, il partito iniziò a cambiare rotta, prendendo soprattutto posizioni critiche verso l’immigrazione e l’Unione europea.

    Nel 2016 il candidato dell’FPO Norbert Hofer ha sfiorato l’elezione a presidente della Repubblica e oggi il partito fa parte della coalizione di governo insieme ai popolari.

    Il caso italiano: la Lega e il Movimento Cinque Stelle

    Nonostante gran parte della stampa internazionale continui a definire la Lega un partito di estrema destra, la sua storia è ben diversa. Per quanto il guerriero di Legnano sia rimasto il simbolo del partito fin dagli anni Ottanta, non si può dire lo stesso per le posizioni del partito: nel 1987, infatti, la “Lega Lombarda” – questo il suo nome – corse per la prima volta in parlamento con un programma autonomista per la Lombardia e mandò in parlamento il suo storico leader, Umberto Bossi, che in passato aveva militato nel Partito Comunista Italiano.

    Leggi anche: il caso delle doppie tessere della Lega

    Per diversi anni fu difficile dare una connotazione politica a questo partito al di fuori dell’autonomismo, e anche dopo lo storico 8,2 per cento raggiunto alle politiche del 1992 non fu del tutto chiaro, dal momento che l’autonomismo e la lotta alla corruzione erano i punti primari. Tuttavia, oltre Bossi anche altri storici esponenti della Lega come Roberto Maroni o Marco Formentini provenivano da esperienze politiche di sinistra. Lo stesso Matteo Salvini corse nel 1997, alle elezioni del Parlamento Padano organizzate dalla Lega, con i “comunisti padani”.

    Nel 1994, tuttavia, la Lega si alleò con Forza Italia e con Alleanza Nazionale, quest’ultimo erede dell’MSI, partito post-fascista.

    La leadership di Salvini, iniziata nel 2013, ha saputo coniugare la già molto presente lotta all’immigrazione clandestina e la crescente critica alle istituzioni europee a un radicamento territoriale in tutta Italia, ponendo fine alle posizioni esclusivamente autonomiste e facendone un partito nazionale e sovranista, fortemente critico verso l’Europa e contrario all’immigrazione clandestina in grado di ottenere consensi su scala nazionale e di diventare il primo partito del centrodestra.

    L’altro partito italiano che viene inserito nell’area dei sovranisti è invece il Movimento Cinque Stelle, formazione che sotto molti aspetti rappresenta un unicum a livello europeo. Questo movimento, nato dall’attivismo del comico Beppe Grillo, vuole guardare oltre le divisioni tra destra e sinistra tradizionali mettendo in primo piano la democrazia diretta, il rinnovamento della classe dirigente attraverso il limite di mandati, limitando fortemente le candidature di persone con precedenti esperienze politiche e la lotta alla corruzione e al malaffare. In questo ambito, la formazione ha sposato posizioni critiche verso l’euro e l’Unione europea e le elite accusate di minacciare la sovranità italiana.

    Questi due partiti, che rappresentano due storie diverse sia tra di loro che rispetto ad altri movimenti sovranisti europei, hanno formato in seguito ai risultati delle elezioni italiane del 4 marzo il cosiddetto “governo giallo-verde” guidato da Giuseppe Conte.

    Orban, da liberale a uomo forte

    Il 12 settembre 2018 il parlamento europeo ha approvato alcune sanzioni contro l’Ungheria, accusando il governo di Budapest di aver indebolito lo stato di diritto nel paese. A capo di tale governo, Viktor Orban, leader di Fidesz, noto per le sue posizioni contro i migranti e critiche verso l’Unione europea.

    Le origini di questo movimento sono da trovarsi, anche questa volta, nel segmento liberale. Fidesz nacque infatti nel 1988, durante l’ultimissima fase del comunismo in Ungheria, ed era un’associazione di studenti liberali, presto trasformatasi in partito. Orban fu uno dei suoi fondatori e ne è stato il leader per quasi tutta la sua esistenza.

    Anche se oggi l’attenzione si concentra soprattutto sugli aspetti più conservatori dell’Ungheria di Orban, non è da nascondere che Fidesz conservi ancora diversi tratti della tradizione liberale, soprattutto dal punto di vista economico, quando i partiti dell’estrema destra prediligono un maggior intervento dello stato. A caratterizzare la frattura con alcune delle posizioni liberali, oltre alle ragioni che hanno portato l’Ungheria alle sanzioni da parte del parlamento europeo, è anche l’irredentismo di cui viene tacciato Orban, che più volte ha cercato di dare la cittadinanza alla popolazione all’estero di origine ungherese. sovranisti

    Diverso ma anch’esso parte della grande famiglia dei sovranisti europei è il movimento Jobbik, più marcatamente di destra, accusato spesso di antisemitismo e promotore di un nazionalismo etnico ungherese. Nel 2016 il suo leader Gabor Vona ha tuttavia lanciato un nuovo programma basato su un conservatorismo moderno.

    Alba Dorata, il consenso per l’estrema destra greca

    Sicuramente di destra è Alba Dorata, partito greco di estrema destra fondato nel 1980 e che fino al 2012 era sempre stato sotto l’un per cento a livello nazionale. La svolta nell’esistenza di questo movimento sono state le elezioni del 2012, avvenute nel pieno della crisi economica del paese e hanno visto a livello elettorale un vero e proprio terremoto politico, caratterizzato dal crollo dei partiti tradizionali (in particolare dei socialisti del Pasok) e l’improvviso consenso per altri partiti, fino allora secondari se non marginali. sovranisti

    Alba Dorata rappresenta in questo un caso particolare: dopo percentuali da prefisso telefonico tra il 2012 e il 2015, nelle cinque elezioni tenute tra politiche ed europee, ha ottenuto punteggi tra il 6,3 e il 9,4 per cento, catalizzando su di sé tutti i voti più a destra, critici verso le istituzioni europee e l’immigrazione incontrollata e uscendo dallo steccato di partito identitario.

    L’UKIP, un single issue party che ha raggiunto il suo obiettivo

    Lo United Kingdom Independence Party, noto ai più come Ukip, rappresenta un caso particolare. Si tratta di una formazione nata nel 1991 su iniziativa di un professore, Alan Sked, di formazione liberale, con un unico punto nel programma: l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea.

    Per molti anni questo partito è stato praticamente assente alle consultazioni politiche e locali e ha ottenuto consensi molto alti alle europee, quasi come se si trattasse di una semplice presa di posizione dei britannici contrari all’Unione europea. Il consenso arrivò a crescere nel voto del 2009 e del 2014 sotto la leadership di Nigel Farage, andando in doppia cifra e diventando nel 2014 primo partito britannico con il 27 per cento.

    Questo portò a trasformare il partito da formazione presente quasi esclusivamente alle europee a formazione di carattere nazionale e a prendere posizione anche su altri temi, divenendo molto simile ad altri partiti sovranisti che abbiamo citato. Il referendum del 2016 sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea ha portato però lo Ukip a raggiungere quello che era stato per molto tempo il suo unico punto del programma, perdendo così quella che era stata la sua principale ragione di esistenza. Così il partito è pressapoco sparito, passando dal 12,6 per cento del 2015 all’1,8 per cento del 2017.

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