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    Io, sopravvissuto a Srebrenica, vi dico che la storia si sta ripetendo ad Aleppo

    Nedzad Avdic, che nel 1995 si è salvato dalla strage in Bosnia, sostiene che le promesse fatte dopo quel genocidio si siano infrante con la tragedia della città siriana

    Di TPI
    Pubblicato il 9 Dic. 2016 alle 17:10 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:57

    Ho affrontato il peggio dell’umanità da adolescente. Ricordo la nostra casa, in fiamme, crollare a pezzi, e la mia famiglia abbandonare Srebrenica, sperando nella possibilità di sopravvivere. Ricordo la tortura e l’odore del sangue. Non lo sapevo in quel momento, ma stavo vivendo il peggior genocidio in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. E dopo, ricordo le promesse: “mai più”.

    Quelle promesse sono infrante adesso, ora dopo ora, giorno dopo giorno, nell’orrore crescente di Aleppo est. Più di 500mila persone sono morte dall’inizio della guerra nel 2011.

    Immaginate. Anni di bombe a grappolo, missili e gas tossici che piovono sulle vostre teste, funerale dopo funerale, morte dopo morte, mentre il mondo osserva ed assiste alla distruzione del vostro paese e del vostro popolo. Ogni volta che pensavamo non potesse andare peggio, ecco che succedeva. E ancora una volta, l’orrore sta raggiungendo nuovi livelli di intensità.

    Scorte di cibo, acqua, medicina, esaurite per intere famiglie. Non ci sono più ospedali operanti e non vi è una singola ambulanza capace di salvare il numero sempre più crescente di malati e feriti. Nella città della morte, anche i pagliacci stanno morendo. L’uomo che provò a scacciare via l’orrore intrattenendo i bambini, distraendoli per un momento, è stato eliminato.

    Che sia stata questa la morte della speranza? Io spero di no, perché io ci sono passato, guardando la morte negli occhi, disperatamente solo.

    — LEGGI ANCHE: Il genocidio di Srebrenica

    In una notte di metà luglio 1995, i soldati serbi ci condussero nel campo dove saremmo stati giustiziati. Ci strapparono gli abiti di dosso e ci legarono le mani dietro la schiena. Allineati, cinque dopo cinque, file e file di morti davanti a me, già fatti fuori a colpi di fucile, vite spente in un singolo istante di sangue.

    Mi spararono allo stomaco, il mio braccio destro e il mio piede sinistro afflitti da dolore incredibile, mentre intorno a me gli ultimi profondi respiri di altri uomini mi riempivano le orecchie. Quando gli assassini se ne andarono, mi accorsi che non ero morto e riuscii a scappare insieme a un altro uomo.

    Per giorni continuammo a correre, nascondendoci nel bosco e dormendo nei cimiteri fino a quando, infine, raggiungemmo la salvezza nel territorio controllato dai bosniaci. In quel momento mi chiesi come il mondo poteva lasciar accadere tutto questo.

    Nel 2005, il parlamento europeo rilasciò un comunicato che condannava il genocidio di Srebenica, promettendo che questo non sarebbe “successo mai più”. Ciò mi diede speranza, la speranza che quello che avevamo passato non sarebbe stato invano e che avevamo imparato qualcosa dagli orrori del passato.

    In futuro, pensai, la comunità internazionale proteggerà i civili nei conflitti armati. Ora questo sembra risalire a tanto tempo fa.

    Ho speranza nel genere umano. Nelle persone in tutto il mondo. So che la maggior parte di loro aiuterebbe il popolo di Aleppo se potessero. Ma non possono farlo da soli. Solo i nostri leader possono fermare il massacro dei civili in Aleppo e in tutta la Siria. O come minimo devono assicurarsi che gli aiuti umanitari raggiungano coloro che ne hanno bisogno, compresi quelli via paracadute in aree sotto assedio, se necessario.

    Il loro fallimento in questo rappresenta un tradimento non solo verso il popolo di Aleppo e della Siria, ma anche verso i sopravvissuti e le vittime di tutti i genocidi da cui ci siamo prefissi di imparare. Al contrario, il peggio dell’umanità è diventata la nuova normalità.

    Quando distogliamo lo sguardo, creiamo spazio per il più pericoloso dei precedenti, quello che rende più probabile il ripetersi della mia esperienza. Io ho guardato la canna del fucile dall’alto verso il basso, e so che l’umanità non può permetterselo. Ascoltate uno che è sopravvissuto a un genocidio.

    C’è molto più di Aleppo in gioco.

    *La lettera è di Nedzad Avdic, uno dei sopravvissuti del genocidio di Srebrenica. Nel 1995 Nedzad aveva 17 anni e si è salvato delle esecuzioni di massa in cui hanno perso la vita suo padre, i suoi zii e molti altri parenti. Dopo essere stato torturato e colpito da alcuni proiettili, è riuscito a scappare. Nedžad è tornato a Srebrenica dal 2007, dove vive con la moglie e tre figlie.

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