Nina è cresciuta pensando che essere gay fosse ripugnante, proibito e decisamente sbagliato. Ma, con orrore, ha scoperto di essere anche lei attratta da persone del suo stesso sesso. L’attrazione sessuale per altre donne le faceva odiare e disprezzare se stessa e la spingeva all’autolesionismo. Ha dovuto combattere una vera e propria lotta per riuscire a fare pace con se stessa.
“Grazie alla mia famiglia, sono cresciuta avendo un atteggiamento di superiorità nei confronti di qualunque cosa non sembrasse ‘normale’. Ed essere gay era probabilmente in cima alla lista. Avevo 15 anni quando mia zia è venuta a casa nostra per un matrimonio. Si stava cambiando quando sono entrata accidentalmente in camera sua. Vedendola mezza nuda, con un corpo meravigliosamente simmetrico, mi è scappata un’esclamazione di ammirazione. Mi sono subito ricomposta, ho borbottato una scusa e sono corsa via.
Mi sarei dovuta sentire imbarazzata o almeno dispiaciuta per aver invaso la sua privacy, invece sorridevo con affetto ripensando alle curve del suo corpo. Sentivo il bisogno di baciarla, toccarla, ma quasi subito sono stata travolta da una sensazione di vergogna e disgusto. Come potevo sentirmi così? Forse ero malata o ero stata influenzata dalla mentalità liberale dei miei amici”.
“Dopo due anni ho cominciato a uscire con un ragazzo, Patrick, che tutte le mie amiche trovavano attraente. Era molto gentile. Mi piaceva, ma baciarlo, accarezzarlo e fare sesso con lui non mi faceva provare nulla. Siamo stati insieme per due anni. Ero diventata così brava a fingere di provare piacere mentre facevamo sesso che mi ero convinta di essere eterosessuale. Guardavo gli omosessuali dall’alto in basso e avevo sempre una battuta pronta per sminuirli.
Poi sono partita per un viaggio a Mombasa con alcune amiche. Ho conosciuto Cynthia a una festa: era un vero schianto e ci siamo piaciute l’un l’altra. Mi ha invitato nella sua stanza e, dopo aver bevuto molto, abbiamo cominciato a baciarci. Presto sono rimasta nuda e lei mi ha fatto provare sensazioni che non avrei mai pensato esistessero. Ecco, quello sì che era sesso!
Quando mi sono svegliata, la mattina dopo, odiavo ogni muscolo del mio corpo e sono corsa fuori dalla sua stanza senza mai più rivederla. Quando sono tornata a casa, ho rotto con Patrick e mi sentivo così disgustata da me stessa che ho preso un rasoio e mi sono tagliata l’interno della coscia. La ferita e il sangue che è uscito dal mio corpo, mi hanno fatto sentire di nuovo ‘pulita’. Ogni volta che avevo un pensiero su un’altra donna o l’istinto di soddisfare le mie sensazioni ‘perverse’, mi ferivo con una lama. Era la mia punizione per questi sentimenti apparentemente impuri.”
“Nei due anni successivi, le mie cosce avevano così tanti tagli che non si riusciva a vedere il vero colore della mia pelle. Una notte, dopo un incontro con una donna davvero meravigliosa, sono tornata a casa per punirmi. Mi sono tagliata troppo a fondo e in un attimo il pavimento del bagno era ricoperto del mio sangue. Sono riuscita a tenere la porta aperta e a chiamare mia madre.
Sono stata portata in ospedale, dove ho ripreso conoscenza dopo ore. C’erano alcuni poliziotti che interrogavano i miei genitori e, dopo aver detto loro che era colpa mia, se ne sono andati. Ho deciso di essere chiara con i miei genitori e dire loro la verità: erano così mortificati che hanno deciso di tenersi una figlia viva, felice e gay.
Ho cominciato una terapia con i miei genitori e ho imparato che essere gay non è una mia colpa, nè un disturbo. Loro hanno iniziato ad accettarmi e io ho imparato a piacermi e, si spera, ad amarmi per quello che sono. Ho ancora molta strada da fare e non l’ho ancora ammesso pubblicamente. Ma credo che riuscirò a trovare qualcuno di speciale da amare, apprezzare e con cui condividere la mia vita, senza sensi di colpa e autolesionismo”.
I nomi e i luoghi nella storia potrebbero esser stati cambiati per ragioni di privacy. Nehaa Singh Khamboj è una giornalista di Love Matters, il suo articolo è stato pubblicato qui.