ESCLUSIVO TPI, dell’inviata Anna Ditta. È uno slovacco dall’aspetto atipico Miroslav Pejko. Ha i capelli rossi, è mingherlino, porta diversi anelli alle dita: difficilmente potrebbe essere confuso in mezzo a una folla. Eppure, svanisce nel nulla nel centro di Bratislava, in un pomeriggio di marzo del 2015.
Miroslav, che gli amici chiamano Miro, ha 27 anni e lavora come giornalista economico per il quotidiano economico slovacco Hospodarske Noviny, occupandosi in particolare del settore energetico.
Il 17 marzo di tre anni fa esce dal suo appartamento di via Zelezniciarska, nel centro di Bratislava, la capitale slovacca, lasciando il computer acceso. Non ha con sé i suoi due telefoni cellulari, né portafogli o documenti, ma solo le chiavi di casa.
Da quel momento, di lui si perde ogni traccia.
Dopo il duplice omicidio del giornalista Jan Kuciak e della sua compagna Martina Kusnirova, che ha fatto scoppiare un caso politico in Slovacchia, portando alle dimissioni del premier Robert Fico, la pressione mediatica sul caso di Miro è aumentata nel paese.
Nonostante siano passati ormai tre anni dal giorno della misteriosa scomparsa del reporter, il ministero degli Interni slovacco alcune settimane fa ha riaperto le indagini relative alla sparizione di Miro.
Il suo caso è arrivato anche sui banchi del parlamento europeo, dove Jozsef Nagy, componente del partito della minoranza ungherese in Slovacchia (Most-Hid) e membro del Partito popolare europeo, ha proposto un’interrogazione per chiedere misure di protezione dei giornalisti investigativi in Europa e nuovi approfondimenti sul caso di Miro.
La brutale uccisione di Kuciak e della compagna, collegata secondo le autorità al lavoro del giornalista investigativo, non ha solo ridestato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla sparizione di Miro, ma l’ha anche posta sotto una nuova luce.
Milan Simak è un amico di lunga data di Miro, che definisce il suo “fratellino”. Insieme ad altre persone, subito dopo la scomparsa dell’amico ha aperto un gruppo Facebook chiamato Hľadáme Miroslava Pejka (“Stiamo cercando Miroslav Pejko”), in cui centinaia di persone cercano di ricostruire ciò che è accaduto quel giorno.
“La prima idea che mi sono fatto era quella del suicidio”, ha detto Simak a TPI. “Ma ora, dopo quello che è successo a Kuciak, non sono sicuro di ciò in cui Miro possa essere stato coinvolto”.
“È cruciale creare pressione, perché è stato tutto molto strano”, prosegue l’amico di Miro. “E alla luce dei recenti avvenimenti sembra esserci qualcosa di losco”.
Miroslav Pejko non era un giornalista investigativo come Jan Kuciak. Scriveva per lo più notizie sul settore energetico, che in Slovacchia è uno tra quelli maggiormente soggetti a infiltrazioni della criminalità organizzata.
Nell’inchiesta che probabilmente è costata la vita a Kuciak e alla sua fidanzata, viene fatto il nome di un imprenditore italiano che vive in Slovacchia, legato alla ‘ndrangheta calabrese: Antonino Vadalà.
Nel suo dettagliato articolo, Kuciak scrive che Vadalà ha avviato in Slovacchia attività di successo prima nel settore dell’agricoltura, poi in quello immobiliare e energetico, diventando una delle figure più illustri della comunità italiana residente nel paese.
Antonino Vadalà è tra i sette italiani fermati e poi rilasciati dalla polizia slovacca dopo l’omicidio Kuciak.
Non si è invece a conoscenza attualmente di un legame tra la sparizione di Miroslav Pejko e il suo lavoro.
Il giorno della scomparsa
La famiglia di Miro vive a Banska Bystrica, una cittadina nel centro della Slovacchia, a oltre duecento chilometri da Bratislava. Suo fratello maggiore, Marian Pejko, contattato da TPI, descrive Miro come “un giovane normale, che lottava per fare il suo lavoro e che ama la musica”.
Marian ammette che non aveva con il fratello un contatto quotidiano, e che per questo ha poche informazioni. “La ragione per cui sia scomparso è per me un mistero”, dice. “Spero che un giorno Miro bussi alla nostra porta, ma so che è difficile”.
La ricostruzione delle ultime ore in cui si ha notizia di Miro è fornita da Antonio Papaleo, giornalista investigativo italiano che ha vissuto in Slovacchia e Repubblica Ceca e conosceva personalmente Miro. Papaleo ha messo insieme i racconti dei vari testimoni.
“La mattina del 17 marzo 2015 Miro viene contattato dalla redazione”, racconta Papaleo a TPI. “Il suo capo gli chiede dove sia e a che punto sia l’intervista a cui sta lavorando. Si tratta di un’intervista al direttore dell’Urso, un ente di controllo sull’energia in Slovacchia”.
All’epoca il presidente dell’Urso è Jozef Holjencik, allontanato nel 2017 a causa dei rincari nel prezzo dell’energia elettrica. Holjencik viene sostituito da Radoslav Nanista come presidente del Consiglio regolatore dell’Urso, e dall’ex ministro dell’Agricoltura Jahnatek Lubomir alla presidenza dell’ente.
“Miro si reca in redazione, dove discute – forse dell’articolo – con i suoi capi”, prosegue Papaleo. “Poi torna a casa. E nel freddo gelido dell’inverno slovacco, esce di casa con un paio di scarpette da tennis e un maglioncino, senza giacca, portafogli, carta di credito e telefonini. Da quel momento in poi sparisce”.
Il dna di Miro, racconta Papaleo, è stato confrontato con quello di qualunque corpo mai ritrovato in Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia, e non c’è mai stata nessuna corrispondenza.
Le indagini
All’indomani della scomparsa di Miro, le indagini della polizia slovacca sono parecchio confusionarie, per non dire del tutto inesistenti.
A dare per prima l’allarme alla polizia è una sua amica, di nome Zuzana, che è stata anche l’ultima persona a parlare con Miro prima che svanisse nel nulla.
“Quando ci siamo sentiti l’ultima volta, intorno alle 14.00, Miro era confuso e non si trovava in un ottimo stato mentale”, ha raccontato a TPI Zuzana. “Forse per i problemi a lavoro, ma credo che quella per lui fosse solo l’ultima goccia”.
“Dopo la sua scomparsa insieme ad altri amici abbiamo deciso di aprire la pagina per trovare informazioni su di lui. Forse qualcuno poteva averlo visto. E poi eravamo disperati, perché la polizia non stava facendo nulla”.
I cellulari di Miro e il suo computer non sono mai stati sequestrati dalla polizia slovacca. I filmati delle videocamere di sorveglianza, che nel centro di Bratislava sono parecchie, non sono stati acquisiti in tempo, come racconta Antonio Papaleo.
Il caso è sprofondato nell’indifferenza dopo che è stato scoperto che Miro faceva uso in maniera occasionale di sostanze stupefacenti, come se questo potesse aver determinato la sua scomparsa.
Papaleo è attualmente in possesso dei cellulari e del computer di Miro, e insieme ad altri colleghi ha provato ad acquisire i dati contenuti nei dispositivi, non sempre con successo.
“Solo ora, dopo tre anni, la polizia slovacca mi ha chiesto di consegnarle il computer, dicendo che vuole effettuarvi il test del dna”, dice a TPI Papaleo, contattato telefonicamente. “Ho risposto che consegnerò tutto quando mi faranno una richiesta scritta e mi daranno una ricevuta. Ma vorrei sapere a cosa serve effettuare il test del dna sul computer e sui telefoni cellulari di Miro, che erano in casa quando lui è sparito”.
L’investigatore slovacco a cui il ministero dell’Interno ha affidato il caso, Jan H., contattato via email da TPI, non ha fornito alcuna risposta sullo stato delle indagini.
Le ipotesi sulla sparizione
La sparizione di Miroslav Pejko resta oggi un mistero. Alla luce di quanto accaduto a Kuciak lo scorso febbraio, viene da chiedersi se il caso della scomparsa di Miro sia stato sottovalutato e, soprattutto, se il suo lavoro c’entri qualcosa con quello che gli è accaduto.
Per capirne di più, TPI ha intervistato un collega slovacco di Miro, il giornalista investigativo Ivan Brada.
“Nel 2012, insieme al mio collega italiano Antonio Papaleo e ad un altro giornalista investigativo, John Boyd, abbiamo realizzato un reportage sul traffico internazionale di ossa e tessuti umani per conto della Radiotelevisione Slovacca (RTVS). Anche Miroslav Pejko era interessato a questo argomento e per questo, all’epoca, avemmo modo di conoscerci”, racconta Brada a TPI.
“Miro aveva dei problemi personali. Ma tutti quelli che lo conoscevano lo ricordano come un giornalista di grande spessore capace di realizzare articoli chiarificatori sul panorama energetico nazionale, basati su interviste strappate alle figure chiave del settore”, ricorda il giornalista.
“I suoi temi principali di interesse erano i sussidi di Stato alla produzione di energia da fonti rinnovabili e le dispute relative all’azienda energetica di stato Slovenské elektrárne, di cui l’Enel italiana era il maggiore azionista. Da qui il suo interesse per i cambi di proprietà delle azioni della compagnia, che produce ancora oggi il 69 per cento dell’elettricità in Slovacchia”.
La società statale slovacca Slovenské elektrárne (SE) possiede alcune centrali nucleari, e questo ha consentito ad Enel di estendere i suoi affari nel settore dell’energia nucleare.
A luglio 2016 Enel ha finalizzato la cessione del 50 per cento del capitale di Slovak Power Holding BV, società titolare a sua volta del 66 per cento del capitale sociale di SE, a una società ceca controllata da Energetický a prumyslový holding (EPH).
“Sappiamo che i temi sui quali Miroslav Pejko lavorava non sono comunque di interesse per le forze dell’ordine”, prosegue Brada. “In realtà la sua scomparsa non viene affatto investigata. L’attuale interesse della polizia è dovuto più alla pressione dell’opinione pubblica che alla volontà reale di scoprire cosa sia accaduto in quel marzo del 2015”.
“Miro si interessava di questioni energetiche, lavorava sotto traccia perché gli piaceva lavorare sotto traccia”, sostiene Papaleo. “Magari articoli del genere non li avrebbe mai pubblicati nessuno, ma così era”.
“Ricordo cosa mi chiese le ultime tre volte che ci incontrammo. L’ultima venti giorni prima della sua scomparsa. Continuava a chiedermi se c’era la possibilità che un dipendente mezzo italiano che lavorava nell’Autorità per il controllo dell’energia fosse in combutta con altri italiani per qualche affare sporco”.
“Non era una cosa mi avrebbe domandato normalmente, se non avesse avuto un interesse specifico”, prosegue Papaleo. “Questo si raccorda a quelli che sembrano essere stati i suoi ultimi interessi. Ma vorrei sottolineare che non è scontato che le ragioni della sparizione di Miro siano da ricercare nel suo lavoro”.
Ma se invece la prima ipotesi del suo amico Simak fosse corretta, e quel giorno Miro avesse deciso di togliersi la vita, perché il suo corpo non è ancora saltato fuori?
“Miro stava affrontando un periodo difficile”, sostiene Simak. “Abbiamo trovato alcune pagine, nella cronologia del suo computer, che riguardavano vita nell’aldilà. Ma forse all’epoca abbiamo affrontato la questione nel modo sbagliato. Forse Miro era solo spaventato da qualcosa o qualcuno e non riusciva a vedere una via d’uscita”, prosegue.
Se Miro nutriva paure simili, non ne ha mai parlato con gli amici. “Non sono a conoscenza di nulla di simile”, racconta Simak, “Ma lui non avrebbe mai messo in pericolo nessuno”, aggiunge.
“Io credo che la scomparsa di Miro non abbia nulla a che fare con il suo lavoro, o con gli articoli ai quali stava lavorando”, dice invece Zuzana a TPI. “Lui non scriveva notizie scottanti come le inchieste di Kuciak. Ma finalmente la polizia sta facendo qualcosa per via della pressione dell’opinione pubblica”, sottolinea.
“Nessuno ha visto Miro negli ultimi tre anni, non ci sono indizi, niente. Non c’è neanche un corpo”, dice. “La mia speranza è che lui sia vivo da qualche parte. Finché gli investigatori non provano che è morto, io crederò che sia vivo”.
“Non penso neanche che qualcuno abbia pianificato di fargli del male”, sostiene Zuzana. “Ma qualcosa potrebbe essere accaduto quando è uscito di casa. Potrebbe aver incontrato qualcuno che gli ha fatto del male”.
Pavol “Palo” Rypal
C’è un altro giornalista slovacco che manca all’appello, oltre a Miroslav Pejko. Si chiama Pavol “Palo” Rypal, lavorava per la televisione slovacca e di lui non si sa più nulla dal 2008.
“In queste settimane si è ridestato l’interesse degli investigatori per la sorte di un altro giornalista investigativo, Pavel Rypal, che è stato nostro collega nella televisione di stato”, racconta Brava. “Sebbene sia stata ritrovata una sua lettera di addio, esistono teorie alternative sulla sua ‘scomparsa’”.
“Tieni conto che era un periodo di ancora minore attenzione, quindi se un po’ di attenzione si è avuta per Miro a distanza di pochi giorni, nel caso di Palo, prima di renderci conto che era sparito sono passate settimane”, racconta Papaleo. “Palo si occupava di crimine organizzato. Faceva il report del crimine di strada, le bande di strada slovacche”.
“Miroslav era vicino di casa e compagno di scuola della sorella di Palo”, racconta Papaleo. “Questo non significa niente, non è che la sorella di Palo gli ha raccontato segreti che poi hanno portato alla morte di Miro. Però conosceva la storia, e magari, da giovane, questo lo ha anche ispirato”.
La situazione in Slovacchia dopo il caso Kuciak
L’omicidio di Kuciak e della sua compagna, entrambi ventisettenni, è avvenuto nella loro casa di Velka Maca, nell’ovest della Slovacchia, il 22 febbraio 2018.
“Conoscevo Jan Kuciak per lo più attraverso i suoi articoli che hanno riguardato alcuni dei casi principali in Slovacchia”, racconta il giornalista Ivan Brada. “Grazie alla sua collaborazione col Czech Center for Investigative Journalism, è stato capace di raggiungere un livello internazionale nel contesto slovacco. Il suo lavoro ha anche fatto luce sui rapporti esistenti tra la ‘ndrangheta italiana e personalità di rilievo del governo, delle istituzioni e della polizia slovacca, che hanno consentito loro [ai criminali] di operare indisturbati”.
L’assassinio di Kuciak ha scatenato la protesta dei cittadini slovacchi che hanno affollato le strade della capitale Bratislava, in quelle che sono state definite le più grandi manifestazioni del paese dalla caduta del regime comunista nel 1989. Le ultime proteste per ordine di tempo si sono tenute a Bratislava giovedì 5 aprile.
All’uccisione della coppia ha fatto seguito la pubblicazione dell’ultima inchiesta di Kuciak, alla quale il giornalista stava lavorando da oltre un anno.
L’inchiesta riguardava gli interessi della criminalità organizzata sui fondi dell’Unione europea destinati alla Slovacchia (15 miliardi di euro nel periodo 2014-2020) e poneva l’attenzione su alcuni italiani residenti in Slovacchia e accusati di essere legati alla ‘ndrangheta calabrese. Si tratta dell’imprenditore Antonino Vadalà e di altri sei italiani, che sono stati arrestati e poi rilasciati dalla polizia slovacca proprio per l’omicidio Kuciak.
Alcuni importanti esponenti del governo di Robert Fico, secondo l’inchiesta, avevano degli affari in comune con personaggi legati alla ‘ndrangheta. L’impatto della notizia dell’assassinio di Kuciak e della sua fidanzata ha avuto però un impatto talmente devastante sull’opinione pubblica che prima il ministro dell’Interno Robert Kalinak e poi il premier Fico hanno dovuto dimettersi.
Ora la Slovacchia ha un nuovo governo di transizione, sostenuto dalla stessa maggioranza, con un nuovo primo ministro. “Il problema maggiore è che nessuno slovacco è pronto a fidarsi in nessun modo di nessuna autorità dello Stato. Quello che in questo momento è in discussione in Slovacchia è il rapporto di fiducia tra i cittadini e lo Stato, ed è gravissimo, è inedito, non è mai successo prima in Europa”, sottolinea Papaleo.
Essere giornalisti in Slovacchia
Secondo l’ultimo rapporto di Reporter senza frontiere, relativo al 2017, la Slovacchia è al 17esimo posto al mondo per libertà di stampa, cinque posti più in basso rispetto al 2016. L’Italia è al 52esimo posto.
“Ciò che è triste e che i media slovacchi abbiano prestato pochissima attenzione alla scomparsa di Miro”, racconta Brada. “Tra i nostri colleghi giornalisti è prevalso il disinteresse. La stessa disavventura è capitata anche al nostro collega Antonio Papaleo, che con il nostro aiuto ha svelato il gigantesco caso del riciclaggio internazionale di denaro sporco da Slovacchia e Repubblica Ceca attraverso una catena di società registrate ad Hong Kong”.
“Alla fine abbiamo scoperto che i fondi erano il frutto di una appropriazione indebita ai danni di una Banca Cooperativa, la MSD, che all’epoca era il maggiore istituto finanziario di questo tipo in Repubblica Ceca. La truffa era stata realizzata attraverso il conferimento di crediti bancari fittizi a personalità slovacche di un certo spessore”.
“Per questo caso molti cittadini cechi e slovacchi sono stati inquisiti dal pubblico ministero [della Repubblica Ceca, ndt] mentre uno slovacco è già stato condannato definitivamente dei tribunali di Hong Kong. Antonio è stato il testimone chiave. Ma all’epoca la polizia slovacca rifiutò più volte di prestargli ogni e qualsiasi aiuto”.
Nel 2014, mentre si trovava in Thailandia, Papaleo è stato vittima di un tentato omicidio da parte di otto criminali locali, cinque dei quali hanno confessato.
“Nessun media e nessun giornalista slovacco ha all’epoca espresso solidarietà ad Antonio”, racconta Brada. “Il caso è rimasto nel dimenticatoio per molto tempo. Solo dopo il fallimento di MSD Banka in Repubblica Ceca è ritornato di attualità. Ancora oggi della storia di Antonio Papaleo il pubblico slovacco sa poco e niente”.
“In seguito alla morte di Jan Kuciak, una ondata di solidarietà ha travolto non solo l’opinion pubblica ma anche i giornalisti”, prosegue Brada. “Il gruppo editoriale per il quale Jan lavorava ha costituito un team investigativo che sta attualmente collaborando con giornalisti di diversa nazionalità. Il loro attuale compito e quello di riesaminare il lavoro di Jan ed altri vecchi casi sui quali resta ancora molto da fare”.
“Ogni giorno nuove informazioni vengono rivelate sulle prime pagine dei giornali”, racconta Brada, “ma molti di questi fatti non sono nuovi in realtà. Erano solo passati inosservati finora. Gli editori slovacchi hanno sottovalutato in passato l’importanza del giornalismo investigativo mentre ora sembrano desiderosi di supportarlo anche finanziariamente”.
“Allo stato attuale la peggiore realtà è quella del giornalismo televisivo, per il quale non esistono al momento programmi investigativi. Sembra però che la televisione di stato stia per rilanciare il programma ‘Reporteri’. Ciò che mi sembra chiaro è che i giornalisti di tutta Europa sono ormai consapevoli della necessità di cooperare a livello internazionale”
“Ma ciò che più importa”, prosegue Brada, “è che la gente comune ha dimostrato scendendo in piazza che l’esecuzione di un giornalista motivata dal suo impegno professionale è un fatto inaccettabile per una società democratica e questo porterà al rafforzamento della protezione dei giornalisti in Slovacchia”.
Il giornalista Antonio Papaleo ha collaborato alla traduzione dell’intervista di Ivan Brada dallo slovacco.
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