A Gerusalemme continuano gli attacchi da parte di palestinesi nonostante i posti di blocco imposti dal governo Israeliano.
In diversi quartieri a maggioranza araba di Gerusalemme, Israele ha applicato severe misure di sicurezza per far fronte alla violenza crescente degli ultimi giorni. Ciononostante, gli attacchi si sono ripetuti.
Nella mattina del 14 ottobre la polizia ha bloccato gli accessi al quartiere di Jabal Mukaber, l’area da cui provengono tre uomini accusati di aver ucciso tre cittadini israeliani a Gerusalemme lo scorso martedì 13 ottobre.
La polizia ha riferito di aver ucciso con colpi di arma da fuoco un palestinese, responsabile dell’accoltellamento di una donna israeliana di fronte a una importante stazione di autobus a Gerusalemme.
Un altro palestinese aveva tentato di accoltellare un poliziotto vicino alla zona della Città Vecchia, ma è stato prontamente fermato e poi ucciso dalle forze di sicurezza israeliane.
La violenza e gli scontri a Gerusalemme giungono in un momento in cui le prospettive di pace sono scarse anche perché si fanno sempre più crescenti i timori di una nuova rivolta palestinese, o intifada, secondo quanto riporta anche l’inviato della Bbc Yolande Knell.
Il gabinetto di sicurezza del governo israeliano ha riportato una crescita considerevole nella domanda di guardie armate private in grado di difendere cittadini.
La vendita di spray al peperoncino è aumentata fra gli israeliani nell’est di Gerusalemme e molti tassisti palestinesi preferiscono rimanere a casa anziché lavorare.
Il primo mese del nuovo anno ebraico, iniziato il 14 settembre 2015, è stato tragico: finora sette israeliani e 32 palestinesi sono stati uccisi.
La situazione si è aggravata a ottobre. Martedì 13, tre israeliani sono rimasti uccisi e 20 feriti tra sparatorie e scontri a Gerusalemme. Due aggressori palestinesi sono morti. La violenza nelle città israeliane è salita ai livelli della Seconda intifada del 2000-2005.
Gli attacchi sono ripresi un mese fa con degli scontri sul Monte del Tempio, che i musulmani chiamano Haram al-Sharif, “il Nobile Santuario”. Il conflitto è chiaro: sempre più ebrei hanno accesso alla moschea di al-Aqsa, terzo luogo sacro dell’Islam. La tensione è salita fino a quando la polizia israeliana ha sgomberato la zona antistante la moschea di al-Aqsa alla vigilia del capodanno ebraico.
Intanto l’Osservatorio per i diritti umani ha criticato le nuove misure di sicurezza israeliane che chiudono alcune parti di Gerusalemme Est. “Violano la libertà di movimento di tutti i residenti palestinesi”, ha detto l’Osservatorio.
Mercoledì 14 ottobre la polizia ha detto di aver istituito posti di blocco alle “uscite dei villaggi palestinesi e dei quartieri di Gerusalemme Est”. Sono anche stati schierati centinaia di soldati.
Benjamin Netanyahu, il premier israeliano, ha dichiarato che le misure di sicurezza sono rivolte contro “chi prova a uccidere e tutti quelli che li aiutano”.
Mahmoud Abbas, il presidente dell’Autorità Palestinese, ha riferito che le azioni israeliane potrebbero “infiammare il conflitto religioso”.
Martedì 13 ottobre la commissione di sicurezza di Israele ha autorizzato la polizia a chiudere o circondare le zone a rischio a Gerusalemme.
Le case dei palestinesi che hanno attaccato israeliani verranno demolite nel giro di pochi giorni, secondo quanto annunciato dalla commissione. Alle loro famiglie verrà tolto il diritto di vivere a Gerusalemme.
John Kirby, il portavoce del dipartimento di Stato americano, ha detto che gli Stati Uniti sono “preoccupati” per le “attività di sicurezza che potrebbero indicare il potenziale uso eccessivo della forza” delle autorità israeliane.
La Casa Bianca e il dipartimento di Stato hanno confermato che John Kerry, il segretario di Stato americano, farà presto una visita nella zona.
(Qui sotto: in un video pubblicato martedì 13 ottobre da RT, un canale televisivo di stato russo, sono riportati scontri avvenuti nella città di Betlemme, in Cisgiordania: un palestinese sarebbe rimasto ucciso, e altri 60 feriti).