130mila persone scomparse in Siria dall’inizio della guerra: il rapporto
Secondo un rapporto del Syrian Network for Human Rights (Snhr), un portale che monitora le torture e le violenze perpetrate in Siria a partire dall’inizio della guerra, il regime di Bashar al-Assad avrebbe arrestato in 8 anni 1,2 milioni di persone, pari al 5 per cento della popolazione presente nel Paese prima del conflitto.
Il dato più allarmante è che nelle carceri di Assad sono state inflitte a ribelli e oppositori le torture più efferate, che hanno portato alla morte di almeno 14mila persone. Le cifre del rapporto mostrano come il regime siriano, dopo i moti rivoluzionari della cosiddetta “primavera araba” del 2011, abbia allestito una vera e propria macchina della repressione, in grado di uccidere e produrre terrore su larga scala.
Il report svela che le truppe di Assad hanno adoperato ben 72 diversi metodi diversi di tortura nelle carceri, tra cui scosse elettriche e abusi sessuali, per estorcere confessioni ai ribelli durante gli interrogatori. Dall’inizio della guerra fino a settembre 2019, poco prima della pubblicazione del rapporto, 14.131 persone avrebbero perso la vita per via delle torture.
Tra questi ci sono giovani attivisti e cittadini, anche minorenni, che si erano uniti al movimento dei rivoluzionari sin dall’inizio delle proteste, e che hanno finito per essere torturati, bastonati o impiccati per mano degli uomini di Assad.
Ma c’è un altro dato allarmante che emerge dal report, e cioè che 130mila siriani sarebbero ancora detenuti o scomparsi dall’inizio della guerra fino ad oggi, e le rispettive famiglie non sanno più nulla di queste persone: non sanno se sono morti o invece sopravvissuti alle Forze armate siriane e alle “stanze delle torture” delle carceri controllate da Damasco.
Molti dei siriani scomparsi sono stati arrestati già nel 2011: vuol dire che le famiglie di circa 130mila persone non hanno notizie dei loro cari da ben otto anni.
Intanto, sul fronte nord occidentale del Paese, anche l’offensiva turca sta provocando vittime tra la popolazione civile, con i mezzi di una potenza Nato che dispone di supporti aerei e armi a lunga gittata. Dall’inizio dell’attacco di Erdogan in Rojava il 9 ottobre scorso quasi mille persone sono state uccise (921), tra cui 509 civili, e oltre 4mila sono rimaste ferite.
Una strage che si allunga ogni giorno, e che completa il quadro di un Paese in caos da otto anni a questa parte, dove l’insicurezza e le torture sono all’ordine del giorno e migliaia di famiglie sono state spezzate per aver sperato di mettere la parola “fine” al regime di Assad.
Ma il peggio doveva ancora arrivare.
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