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    La caduta di Idlib rappresenta davvero la fine della guerra in Siria?

    Credit: AFP/OMAR HAJ KADOUR

    La minaccia di un attacco militare contro la provincia ancora in mano ai ribelli sembra scongiurata, ma la conquista di Idlib resta fondamentale per Russia e Iran

    Di Futura D'Aprile
    Pubblicato il 17 Set. 2018 alle 20:00 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:25

    Nella notte tra il 7 e l’8 settembre 2018 sono ripresi gli attacchi russi contro la provincia siriana di Idlib, l’ultima roccaforte ancora in mano ai ribelli che si oppone al governo di Bashar al-Assad.

    A dare la notizia è stato l’Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha definito i nuovi raid “i più violenti” da un mese. Secondo l’Osservatorio, le forze di Damasco e Mosca hanno colpito la provincia settentrionale almeno 60 volte in meno di 3 ore, provocando la morte di 4 civili.

    La conquista di Idlib, manu militari o meno, rappresenterebbe una grande vittoria per la Russia, che potrebbe così mantenere al-Assad al potere e negoziare un accordo politico con gli altri attori internazionali attivi in Siria da una posizione di forza.

    L’incontro tra Russia e Turchia 

    Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, ha dichiarato che “non ci sarà una offensiva militare sulla provincia settentrionale siriana di Idlib”.

    L’annuncio è arrivato dopo l’accordo raggiunto il 17 settembre tra Mosca e Ankara per la creazione di una zona demilitarizzata intorno a Idlib, la provincia in mano ai ribelli che Mosca e Damasco stanno cercando di riconquistare.

    “Abbiamo deciso di creare una zona demilitarizzata profonda 15-20 chilometri lungo la linea di contatto tra l’opposizione armata e le truppe governative entro il 15 ottobre di quest’anno”, ha spiegato il presidente russo.

    In seguito, il ministro della Difesa russo ha specificato che questo accordo significa che le forze di al-Assad, sostenute da Russia e Iran, non porteranno avanti alcuna azione militare sarebbe contro Idlib, secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa russe.

    Inoltre, secondo l’accordo, i gruppi ribelli militanti islamici, compresi quelli del Fronte al-Nusra, dovrebbero lasciare la zona demilitarizzata.

    L’attacco all’aeroporto di Damasco

    Nella notte del 15 settembre alcuni missili israeliani hanno colpito l’aeroporto internazionale di Damasco, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa governativa siriana Sana, che cita fonti militari locali secondo cui diversi missili sarebbero stati intercettati.

    Dietro l’attacco potrebbe esserci Israele, ma il premier Benjamin Netanyahu non ha confermato o smentito questa ipotesi, pur avendo ricordato che il suo paese agisce “costantemente” per impedire ai suoi nemici di dotarsi di “armi sofisticate”.

    Il riferimento è agli armamenti inviati dall’Iran agli Hezbollah libanesi, i miliziani sciiti presenti in Siria al fianco del regime di Bashar al-Assad.

    L’incontro tra Russia, Turchia e Iran sulla Siria

    Il 7 settembre 2018 si è tenuto a Teheran, in Iran, un incontro trilaterale tra Iran, Russia e Turchia per trovare un punto di incontro sulla questione siriana ed evitare quella che il presidente turco ha più volte definito “un bagno di sangue”.

    Il summit tuttavia non ha dato gli esiti sperati. Il presidente russo Vladimir Putin infatti ha respinto le richieste della Turchia di una tregua nel nord della Siria.

    L’intenzione della Russia resta quindi quella di continuare la sua lotta contro i “terroristi” nella provincia di Idlib e il presidente russo ha ribadito il diritto di Bashar al-Assad a riconquistare tutto il paese.

    A conclusione dell’incontro, i leader di Iran, Russia e Turchia hanno dichiarato di voler continuare a lavorare sulla base dello “spirito di cooperazione per stabilizzare la situazione” nella provincia settentrionale di Idlib.

    “Lavoriamo e continueremo a lavorare per riconciliare le parti del conflitto, escludendo sempre le organizzazioni terroriste”, ha sottolineato Putin.

    Il presidente Erdogan ha in seguito avvertito Iran, Russia e Siria, affermando in una serie di tweet che “Se il mondo chiuderà un occhio sull’uccisione di decine di migliaia di persone innocenti per promuovere gli interessi del regime, non staremo a guardare né parteciperemo a un tale gioco”.

    La crisi dei rifugiati

    La provincia di Idlib si trova al confine con la Turchia, motivo per cui il presidente Erdogan, che ha appoggiato a lungo alcuni gruppi ribelli, teme che una massiccia offensiva possa scatenare un’altra grave crisi di rifugiati.

    La battaglia nella regione potrebbe riversare un’ondata di centinaia di migliaia di profughi verso il confine turco, dato che nella zone si trovano circa 2 milioni di sfollati, secondo le stime dell’Onu, che ha inoltre ribadito l’allarme sul rischio di “catastrofe umanitaria” e chiesto l’apertura di un corridoio per far uscire i civili.

    Dei tre milioni di cittadini che si trovano nell’area, almeno 30mila sono combattenti, mentre il resto sono civili. Di questi, almeno un milione sono bambini.

    Siria, il racconto dell’attivista: “A Idlib ci stiamo preparando al più grande attacco di Assad e Putin, mentre l’Onu resta a guardare”

    Chi controlla cosa

    La provincia di Idlib, nella parte nord-ovest del paese, è l’ultima forte roccaforte ancora in mano ai gruppi ribelli e jihadisti che hanno cercato di rovesciare Assad negli ultimi sette anni.

    Dopo aver ripreso il controllo di Aleppo, della regione del Ghouta orientale, di Douma e di Daraa, Idlib è l’ultimo territorio in cui Assad non è riuscito a sconfiggere i ribelli.

    Il governo ha di recente ripreso il controllo del sud del paese, togliendo ai ribelli i territori di Quneitra e di Daraa, al confine con Israele e Giordania. Quneitra in particolare si trova nella zona delle Alture del Golan, un territorio occupato da Israele nella Guerra dei sei giorni del 1967 e tuttora conteso con la Siria.

    Il nord del paese invece è controllato dalle forze curde, mentre l’Isis continua a imperversare nel cuore della Siria, tra Palmira e Deir Az Zor.

    Oltre a Idlib, l’ultima zona in cui si attesta una presenza dei ribelli è quella di Afrin, in cui si trovano anche truppe turche che sostengono parte dei ribelli e che monitorano il confine tra i due paesi.

    I ribelli che controllano Idlib appartengono a tante fazioni rivali, tra cui un’alleanza jihadista legata ad al-Qaeda e un rivale Fronte di liberazione nazionale sostenuto dalla Turchia.

     

    Fonte: Aljazeera

    Le armi chimiche

    Francia, Regno Unito e Stati Uniti hanno avvertito il regime di Assad che risponderanno militarmente a eventuali attacchi chimici condotti nella regione di Idlib.

    La Russia dal canto suo ha risposto di avere le prove che siano stati invece i “terroristi” a cercare di condurre attacchi chimici in Siria. In questo modo, i ribelli volevano dare un pretesto ai paesi occidentali per intervenire in Siria contro le forze governative.

    Poco dopo era arrivata la smentita del ministro della Difesa statunitense Jim Mattis, secondo cui non esiste “assolutamente alcuna prova” del tentativo dei ribelli di usare armi chimiche.

    L’inviato speciale degli Stati Uniti in Siria, James Jeffrey, ha invece fatto presente che ci sono “molte prove” di preparativi da parte del regime in questo senso.

    Il 12 settembre la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite per la Siria ha diffuso un nuovo rapporto in cui segnala come il regime di Damasco abbia impiegato le armi chimiche in 3 nuovi attacchi nel 2018.

    Nel rapporto si legge anche che il numero di attacchi chimici documentati in Siria dal 2013 è arrivato a 39: 33 sono attribuiti al governo di Damasco.

    Leggi anche: Siria, armi chimiche: come funzionano e come difendersi da un attacco

    Leggi anche: Io, sopravvissuto a un attacco chimico in Siria, vi racconto cosa si prova

    L’inizio dei raid di Assad

    Lo scorso 4 settembre 2018, hanno avuto inizio i raid aerei governativi dell’esercito siriano nella provincia settentrionale di Idlib.

    L’operazione aerea anticipa l’offensiva di terra, secondo quanto riferito dai media locali.

    Attualmente sono i jihadisti di Hayat Tahrir al Sham, gruppo nato dalla fusione di diverse sigle islamiste e costola di al Qaeda, a controllare il 60 per cento del territorio di Idlib, mentre la gran parte del restante 40 per cento è in mano agli uomini del Fronte di liberazione nazionale, un gruppo sostenuto dalla Turchia.

    Prima dell’inizio delle operazioni militari contro la regione, il presidente statunitense Donald Trump aveva rivolto parole dure via Twitter contro il governo siriano.

    “Il presidente Bashar al Assad non dovrebbe attaccare sconsideratamente la provincia di Idlib in Siria. E russi e iraniani farebbero un grave errore nel prendere parte a questa possibile tragedia umana. Centinaia di migliaia di persone potrebbero essere uccise. Non facciamo in modo che questo accada!”.

    Allarmata anche la Francia, che ha espresso “preoccupazione per una possibile vasta offensiva del regime siriano e dei suoi alleati” nella zona di Idlib.

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