Nei giorni scorsi è comparso su Internet un video di propaganda dell’Isis, da Baghouz, suo ultimo bastione conquistato dopo un lunghissimo assedio dalle milizie della coalizione guidata dai curdi e sostenuta dagli Stati Uniti. Vi si vedevano, prima che fosse rapidamente rimosso, una sconvolgente umanità, fatta principalmente di cinesi, centro-asiatici, caucasici, comprese donne e bambini. Questi derelitti ricoperti di polvere e stracci inneggiavano al califfato ed a lui, al-Baghdadi. Già, al-Baghdadi, le cronache dell’ultimo assedio se ne sono dimenticate, le poche notizie che lo riguardano lo danno per fuggito, per i più in Iraq.
Diverso il destino di quell’umanità allucinata: sono tutti morti, a Baghouz. Sappiamo che l’assalto finale è stato lanciato nella notte tra martedì e mercoledì della settimana scorsa, cioè poche ore prima del capodanno curdo, giovedì 21 marzo, e i giornalisti sono stati ammessi tra i resti di quell’accampamento solo venerdì scorso, dopo annunci e rinvii che si sono protratti per mesi.
Davvero la scelta di attaccare e chiudere i conti con tutti è dipesa dal calendario, dalla scelta di far coincidere la festa per la fine dell’Isis con la festa del 21 marzo? Qualcuno laggiù lo ha scritto: chissà. Certo è che la stampa è potuta entrare a Baghouz solo il 22 marzo e si è scritto di un pungente odore di carne bruciata.
Davvero? Per capire l’interrogativo bisogna capire le dimensioni dell’accaduto. Anche queste però non sono chiare. Secondo il sito Zamanalwsl.net più di 2mila persone sarebbero state frettolosamente interrate, tra di loro anche i feriti. Possibile? La risposta è legata alla domanda di fondo: cosa è successo tra le ore dell’attacco e quelle dell’ingresso dei giornalisti?
Chi sostiene che a Baghouz è successo qualcosa di incredibile ne ha fatta circolare anche qualche fotografia, sostenendo sia stata scattata quando è sorto il sole dopo l’assalto. In una si vede un corpo scurissimo, in un’altra un bimbo senza vita che indossa una tuta con la scritta “love” sulla sua piccola gamba… Chissà la parola “amore” come è entrata nell’accampamento dell’Isis, come è entrata a Baghouz. Intorno a quel corpicino sembra aver avuto successo una delle più abiette operazioni dell’Isis: come distinguere tra i suoi aderenti arresisi e i tantissimi prigionieri?
Infatti la sempre più grande marea umana che dai primi di febbraio è emersa dalle viscere di Baghouz, donne, bambini, malati, anziani, giovani, da chi era costituita? Chi era lui, quell’uomo incolto, chi era lei, quella donna avvolta nel velo? Un fanatico del califfato o una sua vittima? E da quanto lo era? Da quanto cioè prestava la sua opera o da quanto era finito nelle grinfie dell’Isis? Qualcuno lo ha chiesto? E se qualcuno lo ha fatto, ha potuto capire?
Questo mistero si è incarnato nello sterminato campo profughi di al-Hawl, quello creato e gestito dai curdi: arrivarci a piedi è stata un’impresa anche per i controlli, i sospetti: “chi sei, qual è la tua storia?” Gli appelli della Croce Rossa davanti alla marea umana che ha fatto di al-Hawl un luogo al limiti dell’immaginabile si sono accavallati con i legittimi timori dei curdi e gli appelli disperati di tanti parenti: quanti familiari hanno giurato di aver visto un loro caro catturato anni fa dall’Isis uscire da Baghouz, lo hanno visto in televisione, si sono precipitati a cercarlo, ma non ne hanno trovato più tracce.
Inghiottito nel campo? Finito in galera? O altro? È il caso dei familiari di Maher Nebo Berkel, nato ad Aleppo nel 1990, sequestrato dall’Isis nel 2014. Loro hanno scritto di averlo visto in tv, tra quelli che lasciavano Baghouz, ma da quel momento è scomparso.
Khalid Almohammad scrive su Facebook di aver riconosciuto suo fratello e suo nipote, sequestrati dall’Isis nel 2017, in una foto pubblicata dei fuggiaschi da Baghouz il 4 marzo 2019: lui è sicuro che oggi siano prigionieri. Così sui social network sono nate tantissime chat, dove entrando si finisce col sentirsi martellati da una sola domanda: come possiamo comunicare con il nostro parente?
Ma sugli incubi e i misteri che circondano al-Hawl non ci sono risposte. Difficile però non vedere che il mondo si è fatto trovare impreparato dall’eruzione umana che ha invaso il deserto quando si sono cominciate ad aprire le viscere di Baghouz. Inevitabile? Non era tutto seguito da mesi? E ora? Cosa accade, come si vive ad al-Hawl? Come se ne uscirà?
Se questi interrogativi sono passati nel silenzio, ovviamente è rapidamente finita nel dimenticatoio la discussione, che pure c’è stata, sugli ostaggi dell’Isis. Qualcuno era sicuro li avessero, la letteratura è stata copiosa: trattative, sempre negate dai curdi, testimonianze, racconti: e poi? Anche loro sono morti a Baghouz? Oppure era tutto falso?
Eppure che i miliziani dell’Isis avessero con sé degli scudi umani appare plausibile. E poi, anche la voce di quei due terroristi che in cambio del loro rilascio avrebbero richiesto un salvacondotto per andare in Turchia è falsa? Voci? Forse invenzioni, utili in questo caso a ricordare che a Baghouz si è parlato anche del tesoro dell’ISIS. Plausibile che vi fosse. Ma poi? Sparito con al-Baghdadi, del quale si è detto che sia fuggito dopo un tentativo di golpe interno all’Isis.
Già, al-Baghdadi: come avrebbe fatto ad arrivare in Iraq? Ci sono stati racconti dettagliatissimi sui tentativi di catturarlo a Baghouz. Ricostruiscono addirittura le ore dell’ingresso di squadre speciali americane, dal vicino Iraq. Poi? Scomparso. E gli altri calibri da novanta dell’Isis? Scomparsi anche loro? Tutti?
Forse sono in quel piccolo gruppo di combattenti che avrebbe lasciato Baghouz poco prima dell’attacco finale per raggiungere la montagna di al-Bishri, in mezzo a territori presidiati dai soldati di Assad. Ne hanno scritto in tanti, stampa occidentale, stampa locale. Cosa è successo? Sono scomparsi anche loro? O non sono mai esistiti, come gli ostaggi? E quei miliziani che sarebbero fuggiti attraversando il fiume, per arrivare lì dove le truppe governative siriane hanno pieno e scrupoloso controllo? E non c’erano voci di una fossa comune scavata e riempita di cadaveri dall’Isis probabilmente mesi fa? Anche su questo non abbiamo risposte.
Se non fosse stato per Avvenire, l’oblio avrebbe avvolto anche quell’assurdo cimitero scoperto più a nord, nei pressi di Raqqa, vicino al centro agrario di Fikherka. Tombe singole, perché non di prigionieri. Sinora nel 40 per cento dei casi si è accertato che erano bambini di meno di un anno o donne in gravidanza.
Ha scritto da Raqqa Luca Geronico: “Probabilmente questa la fine di molte delle “spose del jihad” e dei loro figli. I cadaveri sono trasportati all’obitorio per essere, poi, sepolti in un cimitero per gli sconosciuti costituito in questi ultimi mesi dalla municipalità per le vittime del Califfato”.
Sul lato opposto del podere del Centro agrario di Fikherka avvenivano le esecuzioni di massa dei civili. “Non abbiamo ancora iniziato a scavare, ma dovremmo trovare delle grandi fosse con una quarantina di corpi tutti assieme”, gli hanno detto alcuni operatori. Si stima che potrebbero esserci altri 2.500 cadaveri. In questi casi nemmeno una precisa catalogazione è possibile.
Delle fosse comuni di Raqqa sappiamo da tempo, ma l’atroce destino di donne e bambini avrebbe potuto indurci a riflettere nelle ultime ore di Baghouz: che futuro pensiamo per le migliaia di figli randagi dell’Isis? E per le spose straniere del jihad? Anche qui nessuna risposta, solo silenzio.
Davvero si pensa di poterli cancellare, per illuderci che non siano mai nati? Domande che durano poco, alcuni infatti già preferiscono un altro interrogativo: quello di chi ha sconfitto l’Isis. C’è la versione ufficiale, che esalta i curdi e gli americani, ci sono però quelli che contestano la versione ufficiale, comunque sia, e rivendicano i “meriti” di Assad e di Hezbollah. Sarebbero loro i veri vincitori, dicono.
Le fotografie di Baghouz come quelle di Raqqa sembrano trasformarsi sempre di più in quelle del nuovo Colosseo dove noi siamo gli spettatori, appassionati di questi o di quelli, e i siriani? Sono condannati a restare un popolo tradito? La domanda dovrebbe essere su chi siano i veri sconfitti, piuttosto che i veri vincitori. Anche per le diplomazie dovrebbe essere così, se volessero prevenire un domani peggiore dell’oggi.
È così anche per i tanti patriarchi cristiani presenti in Siria. Ma né gli uni né gli altri sembrano avere molto da dire. Forse stanno pensando: ma a chi? A chi ha vinto, o a cosa faranno da grandi i figli randagi dell’Isis, a che stati d’animo prevarranno tra i prigionieri dell’Isis scambiati per miliziani, a dove si trovano i miliziani spariti?
Così non può che aumentare ulteriormente la sensazione di trovarsi davvero davanti al nuovo Colosseo del tempo globalizzato; e sì che quella di Baghouz e di Raqqa è soltanto la storia di una parte della Siria, quella orientale, dove la sconfitta del Califfato ha portato a galla qualcuna delle sue infinite pagine orribili.
In queste ore sono emersi segreti allucinanti, campi di concentramento, lager. Ma nella Siria occidentale le fosse comuni, come quelle scavate per migliaia di siriani ai tempi delle grandi battaglie nella Valle dell’Oronte dagli uomini di Assad e da Hezbollah, restano in mano sicure e non se ne parla, oggi come allora. Magari l’idea è di costruirci sopra ville e piscine quando dovesse partire la grande ricostruzione?
Le storie non sono separate, le storie orientale e occidentale della Siria sono una storia, e qualche idea proprio da Raqqa comincia a filtrare. Viene da Raqqa ad esempio il memoriale di Maadab al Hassoun, uno dei primi comandanti della Brigata Rivoluzionaria dell’Esercito Libero Siriano, che ha pubblicato il volume “Raqqa e la rivoluzione”. Racconta del 2013, dal suo esilio francese. Questo libro sembra ricostruire un viaggio all’inferno. Non ci sarà tutta la verità, ma siccome sembra scomodo per tanti qualche verità potrebbe contenerla. Maadab al Hassoun racconta che durante la battaglia tra il suo esercito e l’Isis lui era alla guida di un gruppo e conquistò la principale prigione dell’Isis.
Il prigioniero del quale racconta l’interrogatorio è l’emiro Abu Saad Alhadrami. Erano i tempi della famosa battaglia dei 13 giorni, che l’Esercito Libero avrebbe perso, e Raqqa sarebbe finita nelle mani dell’Isis. L’emiro aveva perso contro di lui, ma gli disse “voi non vincerete mai, stanno tutti con noi”.
Quel tutti è molto interessante, dà un’idea del disastro ma soprattutto spinge a pensare a una realtà dove i buoni non ci sono, e in effetti questa guerra, se si tolgono le vittime, non sembra una guerra tra buoni e cattivi: proprio come accadeva al Colosseo, dove in realtà a combattere erano solo schiavi mandati a morire. Ma da chi? E perché? Una risposta è quella che ha ottenuto Maabad al Hassun, sollecitato dall’emiro dell’Isis a interrogare un suo parente, Aissar, “quel che lui ti dirà io lo confermerò”.
Aissar era vicino ai jihadisti di al-Nusra perché amico personale dell’emiro Alhadrami. Era stato proprio lui a trovargli in quella situazione drammatica un nuovo lavoro, negli uffici dell’Isis, affondandogli la responsabilità di quello del grano.
Quando si trovò davanti il suo parente in divisa militare Aissar capì immediatamente cosa volesse sapere e gli raccontò di quel giorno che un mercante di granaglie di Aleppo, un vecchio sensale ben noto in tutto il nord della Siria per le capacità di ungere i meccanismi giusti e aggiustare tutte le pratiche, gli andò a chiedere di poter acquistare un significativo quantitativo di grano; nella zona di Aleppo la guerra aveva ridotto la disponibilità di questo prodotto prezioso per tutti, soprattutto però per chi non ce l’ha.
Aissar predispose la pratica e inviò il suo conoscente al palazzo del governatorato, dove si erano insediati quelli dell’Isis, per far firmare il tutto dall’emiro e dal wali. Dopo un po’, prosegue il racconto, il commerciante fece ritorno da Aissar, ma era sconvolto.
Gli disse che non aveva più intenzione di concludere quell’affare, ma che prima di tornarsene a casa di corsa voleva raccontargli tutto per avere un testimone, nel caso in cui lo avessero voluto uccidere. Si trattava di questo: quando era entrato nel palazzo del governatorato lo avevano mandato al primo piano, dall’emiro.
Vedendo una porta socchiusa si era convinto che dovesse recarsi lì. E invece quella era la famosa “stanza segreta”, quella dove tutti sapevano che era proibito entrare. O almeno così ritenne, visto che con il cuore in gola raccontò di avervi scorto il generale dei servizi segreti dell’aeronautica militare Adib Nemar Salamah, che conosceva personalmente. Come lo aveva riconosciuto poteva anche essere stato riconosciuto. Maabad al Hassoun rimase a dir poco sorpreso da questo racconto e il libro sembra dire che lo sia ancora.
Leggendo non può che tornare alla mente la questione degli ostaggi dell’Isis, tenuti come scudi umani a Baghouz. Quando venne posta molti dissero: per prima cosa non sappiamo se ci sono davvero, ma se ci fossero non si può mica pensare di lasciare liberi due o tre capi dell’Isis per salvare qualche ostaggio! Eh già, è proprio così. Ma ora i capi dell’Isis non sono fuggiti? Però il racconto di Maabad Hassoun indica con tantissimi dettagli il nesso vecchio di anni tra l’emiro di Raqqa, Abu Luqman, che vi ha guidato l’Isis per anni, il suo luogotenente Abdel Rahman al Faysal abu Faysal, emiro della parte orientale della città fino alla caduta del regno nero dell’Isis, e il generale Salamah.
Abu Luqman sarebbe stato tirato fuori dal penitenziario di massima sicurezza di Saydnaya nel 2012 proprio da Salamah, con il quale sarebbe stato in contatto già prima dell’arresto. E allora? Allora accade che in un recente reportage per TV7 Amedeo Ricucci abbia scoperto e raccontato che Abdul Rahman al Faysal Abu Faysal, è vivo e vegeto, a Raqqa, dove vive a casa sua, con qualche breve visita al carcere gestito dai curdi da dove però uscirebbe regolarmente, poco dopo esservi entrato.
La protezione della sua temutissima tribù gli eviterebbe giorni più grami. E gli ostaggi? E lo scandalo impossibile di negoziare per salvarli? La domanda forse è fuori luogo, ma l’interrogativo rimane: chi è andato a interrogare Abdul Rahman al Faysal Abu Faysal? Chi ha voluto sapere da lui ciò che sa? Ora che i giorni militari dell’Isis sarebbero finiti, in attesa di sorprese future, questi e altri segreti verranno chiariti? Questa è la sola domanda alla quale personalmente trovo una risposta, perché non vedo chi abbia interesse a far emergere le storie mai raccontate che collegano tanti servizi segreti, a partire da quelli siriani, e i turbanti neri del sedicente califfato.
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