Due occhi grandi, neri e profondi e le ciglia lunghe. Gli occhi di Iman Mahmoud Laila, l’ennesima innocente vittima di una guerra senza fine.
Aveva solo un anno e mezzo la piccola che è morta a causa del freddo all’interno di un campo profughi situato nella Siria nord-occidentale. La bambina è morta nelle prime ore della mattina di ieri, giovedì 13 febbraio, nel villaggio di Ma’rata, in provincia di Aleppo.
Iman era l’ultima arrivata in una della tante famiglie che compongono l’esercito di sfollati alle porte di Damasco. Come molti, vivevano in una tenda di fortuna. Una sistemazione che ovviamente non è stata sufficiente a proteggere dal freddo intenso la bambina.
Nella giornata di ieri, giovedì 13 febbraio, la piccola Iman ha iniziato a stare male. Stava accusando dei problemi a livello respiratorio, aggravati dalle rigide temperature degli ultimi giorni. Il padre, notando il peggioramento della figlia, aveva deciso di portarla nell’ospedale più vicino.
Prima di mettersi in cammino, alle 5 di ieri mattina, l’uomo ha avvolto la figlia in una coperta e l’ha stretta a sé nel tentativo di proteggerla dal gelo. Ma a poco è servito, perché la bimba è arrivata già morta. Secondo quanto hanno dichiarato i medici, la piccola è deceduta per assideramento. Come lei è morto congelato anche il piccolo Abdul Wahhab Ahmad al-Rahhal, che aveva poche settimane, e anche lui in fuga assieme ai genitori dall’offensiva lealista.
In un commovente post pubblicato su Facebook, il dottor Adnan ha scritto: “Oggi, questa bimba è arrivata nella nostra clinica di Afrin. L’ha portata il suo papà dalla tenda in cui vivono a pochi chilometri da qui, perché era assiderata. Le ha messo addosso tutto quello che possedeva, per poterla tenere al caldo“. Ha continuato: “Ha fatto tutto il possibile per scaldare il suo cuoricino. L’ha stretta forte e, tra le lacrime, ha camminato dalle cinque del mattino, nonostante la neve e il vento. Ha comminato indossando delle scarpe logore tra le macerie del suo Paese. Le sue braccia erano congelate, ma lui continuava ad abbracciarla”.
Purtroppo, però, Iman era già morta: “Con grande difficoltà siamo riusciti a separarlo dalla figlia e abbiamo visto il viso angelico e sorridente della piccola. Ma era immobile. Abbiamo allora provato a sentire i battiti del cuore, ma era morta. Un’ora prima! Quest’uomo ha portato il corpo della figlia senza saperlo”.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Onu, dal primo dicembre sono più di 800mila le persone che hanno abbandonato i loro rifugi in seguito all’escalation di violenza delle ultime settimane nelle province di Idlib e Aleppo.
Ora, oltre l’80% degli sfollati sono bambini e donne. Sui campi profughi, inoltre, in questi giorni è caduta un’abbondante nevicata. Per molte famiglie, infine, non c’è nessun luogo né dove rifugiarsi per trascorrere la notte né per ripararsi dalle bombe e dai razzi che cadano dal cielo.
L’offensiva militare da parte del governo siriano e dei suoi alleati nell’area meridionale di Idlib continua, aggravando una situazione già critica nella Siria nord-occidentale. L’esodo della popolazione è enorme e gli ospedali vengono colpiti quasi quotidianamente, riducendo drasticamente la possibilità di accesso alle cure.
“Se le persone dovranno andare lontano per ricevere cure, la possibilità che le ferite si aggravino o la probabilità di morire non possono che aumentare” dichiara Cristian Reynders, coordinatore delle operazioni di MSF per l’area settentrionale di Idlib.
Oltre a continuare a fornire acqua potabile e distribuire beni di prima necessità nei campi per sfollati, in queste settimane Medici Senza Frontiere sta incrementando il supporto a diversi ospedali vicino alla linea del fronte, fornendo in particolare kit di primo soccorso e chirurgici.
Da una di queste strutture arriva questa forte testimonianza di un medico: “Lavoriamo senza sosta, anche fino a notte fonda. La mia famiglia è fuggita pochi giorni fa, io ho deciso di restare, per ora. Da allora non li ho ancora sentiti e sono molto preoccupato. Mi sembra che stiamo vivendo una serie di scelte impossibili”.