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    In Siria 70mila persone sono in fuga dall’ultima provincia in mano ai ribelli

    Credit: Reuters/Stringer

    Si teme una catastrofe umanitaria a Idlib, mentre gli sfollati cercano rifugio e gli ospedali vengono "sistematicamente presi di mira"

    Di Gianluigi Spinaci
    Pubblicato il 10 Gen. 2018 alle 15:51 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:45

    Decine di migliaia di persone sono fuggite da un assalto delle milizie governative a Idlib, l’ultima provincia siriana controllata dai ribelli, dalla quale è stato lanciato l’allarme di una catastrofe umanitaria.

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    L’avanzata del regime è stata definita da un alto funzionario dell’Onu come un attacco “sistematico” agli ospedali della regione.

    Sono otto le strutture ospedaliere colpite dalla fine di dicembre all’inizio di gennaio.

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    Uno di questi attacchi, il 3 gennaio, ha ucciso una bambina nata da due ore e suo padre nella città di Maarat al-Numan. Due infermiere e un medico sono stati feriti.

    “Gli obiettivi principali sono quelli di privare le persone dell’assistenza sanitaria, uccidere gli operatori sanitari dell’opposizione e spingere le persone a fuggire”, ha detto Ahmad al-Dbis, direttore della sicurezza per l’Unione delle organizzazioni mediche e di assistenza (UOSSM), che gestisce dozzine di ospedali in Siria. “La situazione medica è una tragedia”.

    Secondo le cifre delle Nazioni Unite, più di 70mila persone sono fuggite dalle loro case nelle ultime settimane per sfuggire all’ultima ondata di violenze, a sette anni dall’inizio della guerra civile che ha ucciso mezzo milione di persone.

    Circa 1,1 milioni di persone nella provincia sono fuggite verso altre regioni della Siria.

    Molti hanno cercato rifugio vicino al confine turco dopo che le forze fedeli al regime di Bashar al-Assad hanno lanciato un’offensiva di terra, per la prima volta in quasi tre anni, nella zona di Idlib, interamente controllata dai ribelli che combattono per deporre il regime.

    Una coalizione di ribelli, per lo più islamisti, inclusa l’organizzazione Jabhat al-Nusra, ha spodestato il regime dalla provincia nella primavera del 2015.

    La spinta del governo verso Idlib sembra essere finalizzata a prendere il controllo della base aerea di Abu al-Dhuhour e stabilire un punto d’appoggio nella provincia.

    Le forze di Assad disterebbero meno di cinque miglia dal complesso militare, avanzando sotto un’enorme ondata di bombardamenti aerei e di artiglieria.

    UOSSM ha riferito che alcuni ospedali sono stati ripetutamente presi di mira.

    Nel frattempo, gli attivisti dicono che interi villaggi vicino alla linea del fronte sono stati abbandonati, e temono che l’allargamento dei bombardamenti aerei sui centri abitati possa portare ad una strage di civili.

    Idlib dovrebbe essere una zona di “de-escalation” secondo i termini di un accordo negoziato da Russia, Turchia e Iran per ridurre la violenza in tutto il paese.

    Ankara mantiene una presenza di forze di pace nella provincia, ma la violenza è continuata.

    L’attacco arriva a ridosso di una conferenza prevista per la fine di questo mese a Sochi, voluta fortemente dalla Russia, che avrebbe dovuto riunire il regime e i membri dell’opposizione per impostare un “dialogo nazionale” e aprire la strada a un accordo di pace, dopo il fallimento dei colloqui invocati dall’ONU a Ginevra.

    Il ministro degli esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, ha detto che l’ultima ondata di violenza sta mettendo a rischio gli sforzi per raggiungere una soluzione politica, aggiungendo che il regime di Assad sta usando la scusa di combattere gli estremisti con il reale fine di bombardare i combattenti dell’opposizione.

    La fazione militare predominante in Idlib è Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), guidata da Jabhat al-Nusra.

    Il gruppo controlla gran parte della provincia e ha continuato a imporre regole draconiane alla popolazione, accendendo le proteste da parte dei civili, che si oppongono anche al regime di Assad.

    Decine di migliaia di persone hanno cercato rifugio a Idlib nel corso degli anni, tra cui 30mila provenienti dalla città di Aleppo.

    La provincia ha sopportato anni di raid aerei e persino attacchi a base di cloro, e l’anno scorso la città di Khan Sheikhun è stata colpita con del gas sarin.

    Ma questa del regime è la prima campagna terrestre su larga scala nella regione dopo anni.

    I funzionari occidentali temono che il regime stia cercando di chiudere l’HTS in un’area più piccola con una più alta densità di popolazione, per poi lanciare una campagna aerea che devasterà i centri abitati spingendo più persone verso il confine.

    Il regime di Assad ha ripreso slancio militare dopo una serie di vittorie iniziate dalla fine del 2016 e proseguite per tutto il 2017, grazie all’appoggio di Mosca, Teheran e delle milizie sciite di Iraq e Libano.

    Queste vittorie sul campo hanno fornito al regime e ai suoi alleati la possibilità di far leva sui negoziati per giungere a un accordo di pace, indebolendo la spinta di quelli che chiedono una transizione dal dominio di Assad.

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