Il 15 marzo 2011, esattamente 10 anni fa, si apriva il drammatico conflitto in Siria. Quel giorno, a Damasco, si levò una forte protesta a causa dell’arresto di alcuni giovani fermati dalla polizia mentre dipingevano graffiti contro il presidente Bashar al-Assad. Nei giorni successivi, le proteste crebbero, si verificano scontri con le forze dell’ordine ed alcuni manifestanti vennero uccisi. Cominciava così una guerra straziante dalla scia lunga e complessa, che ha provocato finora innumerevoli morti, feriti e sfollati in cerca di sicurezza.
“La comunità internazionale ha deluso i siriani. Questa tragica ricorrenza costituisce per i leader mondiali un monito severo e un forte richiamo del fatto che questo decennio di morti, distruzioni e migrazioni forzate si è compiuto sotto i loro occhi£, afferma Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
“Dopo dieci anni, metà della popolazione siriana è stata costretta a fuggire dalle proprie case. Più di 5,5 milioni di persone sono rifugiate nella regione, mentre altre centinaia di migliaia di persone sono fuggite in 130 paesi. Altri 6,7 milioni di siriani sono rimasti sfollati all’interno del proprio Paese. In dieci anni, quasi nessuna città o villaggio è stata risparmiata dalla violenza, e la sofferenza umana e le privazioni vissute da chi è rimasto in Siria sono insostenibili”.
UNHCR ribadisce la necessità di non dimenticare questa drammatica emergenza e rilancia l’urgenza di raccogliere fondi per i suoi interventi a sostegno dei rifugiati e degli sfollati siriani. “Nel 2020, abbiamo sostenuto quasi 800.000 rifugiati siriani in più attraverso l’assistenza economica diretta, per far fronte ai loro bisogni essenziali, ma serve un’azione urgente e decisiva, perché nel 2020 solo il 53% dei bisogni sono stati soddisfatti”, prosegue Grandi.
“Il calo degli aiuti, unito alla recessione economica provocata dalla pandemia di COVID-19 hanno spinto i rifugiati siriani a livelli di disperazione senza precedenti. In Libano, nove siriani su dieci vivono in estrema povertà. A ciò si aggiunge che a causa della perdita dei mezzi di sostentamento, dell’aumento della disoccupazione e del COVID-19 anche milioni di giordani, libanesi, turchi e iracheni delle comunità ospitanti vivono oggi sotto la soglia di povertà”.
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