Come un gratta e vinci Singapore luccica e promette fortuna. Secondo il Global Innovation Index, il profilo economico della Lion City si posiziona al primo posto per efficacia del governo. Il Paese è tra le prime tre economie innovative del Sud-est asiatico e settimo a livello mondiale. I cittadini possono contare sulla stabilità politica derivante da 63 anni di guida ininterrotta del People’s Action Party (Pap) – il governo più lungo al mondo in una democrazia multipartitica – su bassi tassi di criminalità, eccellenti opportunità di istruzione, cure mediche, svago e trasporto pubblico.
Ma basta raschiare la superficie per scontrarsi con una realtà diversa. Human Rights Watch ha denunciato il governo di Singapore per le sue leggi penali eccessivamente restrittive e per le cause civili contro attivisti, blogger e giornalisti. Amnesty International ha richiamato l’attenzione sulle pene detentive e sulle multe inflitte ai difensori dei diritti umani. Il Parlamento, occupato per quasi il 90% dal Pap, ha approvato nuove leggi che limitano la libertà di espressione.
Singapore ha fama di avere uno dei sistemi di giustizia penale più duri al mondo. La fustigazione è ancora prevista dalla legge e viene applicata regolarmente. La pena capitale è obbligatoria per il traffico di stupefacenti oltre soglie molto basse – inclusa la cannabis – in violazione delle convenzioni di diritto internazionale e in controtendenza rispetto a quanto accade in altri 170 Paesi nel mondo. La follia omicida dello Stato, come è stata battezzata dagli attivisti del Transformative Justice Collective di Singapore (Tjc), è ripresa l’anno scorso dopo due anni di pausa forzata dovuta alla pandemia di Covid-19. In meno di un mese sono state impiccate otto persone. Il Singapore Prison Service (Sps) ha rivelato il numero ufficiale soltanto poche settimane fa, fino ad allora la conta si è basata sulle notifiche di esecuzione ricevute e rese pubbliche dai familiari dei condannati. Tjc stima che negli ultimi 30 anni siano stati oltre 500 i prigionieri giustiziati a Singapore, che negli anni ’90 è stato uno dei Paesi con il maggior numero di esecuzioni pro-capite. Nel 2022 sono state impiccate 11 persone, tutte per reati di droga.
Un Paese crudele
Nazeri Bin Lajim è stato il quinto a salire sul patibolo nel 2022. Ha lottato tutta la vita per ripulirsi dalla droga, dopo essere diventato orfano e tossicodipendente a 14 anni. Era uno dei cittadini fragili che Singapore intende tutelare grazie alla politica di tolleranza zero con cui l’ha ucciso. Nazeri è stato condannato all’impiccagione per il possesso di 33,89 grammi di eroina pura, un reato che può comportare da 6 a 20 anni di reclusione in Italia. Ha scontato dieci anni nella prigione di Changi, di cui cinque nel braccio della morte, in attesa del boia.
Dopo aver ricevuto la notifica di esecuzione con sette giorni di preavviso, ha cercato di ottenere più tempo per un’ultima visita familiare. Senza assistenza legale e con una semplice istruzione primaria, ha scritto a mano la sua ultima richiesta per la sospensione dell’esecuzione. «Per favore, prova compassione per me. Sono una persona anziana. So che devo morire», ha implorato nella sua ultima udienza via Zoom. La Corte d’Appello ha rifiutato. Alle 6 del mattino del 22 luglio 2022 Nazeri è stato ammanettato dietro la schiena, incappucciato, e ucciso in nome dello Stato. Aveva 64 anni.
Nazeri è stato uno dei 17 condannati a morte che hanno fatto causa al Procuratore Generale per trattamento discriminatorio nei procedimenti giudiziari. Secondo i querelanti, negli ultimi dieci anni il 65% dei condannati a morte è stato di etnia malese e il 13% di etnia cinese, un rapporto inversamente proporzionale rispetto agli abitanti di Singapore che sono per oltre il 74% di etnia cinese e per il 13,5% di etnia malese. Tuttavia, non esistono informazioni certe sulla composizione della popolazione carceraria. K. Shanmugam, ministro della Giustizia e ministro dell’Interno, ha chiarito in Parlamento che il governo non rilascia dati ufficiali sulla composizione etnica dei carcerati per evitare di rafforzare stereotipi che potrebbero compromettere l’armonia multiculturale del Paese. Nel frattempo, tre querelanti sono stati impiccati e l’Alta Corte ha condannato personalmente l’avvocato e difensore dei diritti umani M. Ravi e il suo collega Cheng Kim Kuan a pagare 14mila euro di spese processuali. I due avevano presentato la citazione a nome dei 17 prigionieri.
M. Ravi è ben noto nei tribunali di Singapore e fra i detenuti del braccio della morte, che ha spesso difeso pro bono. È stato condannato a pagare le spese processuali anche per aver rappresentato 12 condannati a morte in una causa contro il Sps, che ha segretamente inoltrato al Procuratore Generale le lettere riservate agli avvocati. Grazie al suo impegno, le esecuzioni di questi 12 prigionieri sono state sospese fino all’8 aprile 2023, quando si terrà la nuova udienza. Dopo questa serie di azioni legali, Singapore ha adottato una proposta di legge per limitare le domande post-appello nelle cause capitali.
Le difficoltà a ricevere assistenza legale iniziano però fin dal momento dell’arresto. A differenza di quanto avviene nel nostro sistema, Singapore opera sulla base della presunzione di colpevolezza: l’accusato di reati di droga è tenuto a dimostrare la propria innocenza. Esiste il diritto a non auto-incriminarsi, ma non quello a non rispondere. Durante gli interrogatori – che possono durare giorni – non sono ammessi avvocati, sui quali incombono i costi delle spese processuali. L’Iba, l’associazione forense internazionale, ha denunciato in una lettera al ministro K. Shanmugam gli ostacoli che questo sistema impone ad avvocati e detenuti.
Pendolari della morte
Un piccolo stretto separa la Malesia da Singapore, ma i due Paesi non potrebbero essere più distanti per quel che riguarda l’approccio al traffico di stupefacenti. La Malesia sta abrogando la pena di morte e ha di fatto sospeso le esecuzioni. La Thailandia, poco più a nord lungo la stessa penisola, ha addirittura legalizzato la cannabis. Il risultato delle stesse azioni può avere un esito molto diverso sul lato sbagliato dello Stretto di Johor.
Singapore non impicca soltanto i propri cittadini. Molti corrieri della droga arrivano dai paesi vicini, spinti da una condizione di povertà strutturale e privi delle nozioni legali di base per sostenere un interrogatorio. Difficilmente potranno ritrattare la dichiarazione rilasciata dopo l’arresto senza suscitare sospetti. Il 27 aprile 2022 è stato impiccato il malese Nagaenthran K. Dharmalingam, che aveva un quoziente intellettivo di 69, malgrado la legge consenta ai giudici di evitare la sentenza capitale in caso di disabilità intellettiva. Prima dell’esecuzione, l’ufficio del Procuratore Generale ha definito l’appello di Nagaenthran il suo «ultimo tentativo di abusare dei processi della Corte e ritardare ingiustificatamente l’esecuzione della legittima pena inflitta».
Ciononostante, questi piccoli corrieri – soprannominati “muli” della droga – sono così disperati da tentare la sorte. Importano sostanze stupefacenti per conto dei grandi signori della droga e finiscono sul patibolo in nome della guerra al narcotraffico, mentre il rifornimento di Singapore continua. Sotto la facciata di perfezione e prosperità di questa verdeggiante isola sull’equatore, si nascondono anche miseria e disperazione. Nazeri è stato arrestato all’angolo di Orchard Road, la via dello shopping di lusso. L’aeroporto di Changi – fra i più belli al mondo – si trova di fianco al complesso carcerario, dove un numero imprecisato di detenuti attende la propria esecuzione in un giorno qualsiasi dell’anno.
Compagni di sventura
Pannir Selvam e Kalwant Singh sono nati in Malesia. Come Nagaenthran e altri muli della droga, vengono tutti dalla stessa zona, un’area di circa 100 chilometri che va da Ipoh alle Cameron Highlands. Arrestati e condannati a morte per traffico di droga ancora ventenni, si sono conosciuti nel braccio della morte della prigione di Changi, dove hanno vissuto a pochi metri l’uno dall’altro, ciascuno nella propria cella.
Per Nagaenthran e Kalwant l’attesa è finita. Sono due degli 11 giustiziati nel 2022. Pannir invece è ancora vivo. Ha esaurito tutte le possibilità di appello e di grazia previste dalla legge, ma è uno dei 12 condannati a morte nella causa legale per le lettere riservate indebitamente inoltrate al Procuratore Generale, grazie a cui ha ottenuto una temporanea sospensione dell’esecuzione.
Figlio di un pastore protestante, Pannir e la sua famiglia hanno manifestato più volte un sincero pentimento e hanno cercato di fornire un aiuto concreto al Central Narcotics Bureau di Singapore. Ottenere un certificato di collaborazione potrebbe infatti commutare la pena di morte in ergastolo – con o senza frustate. Non potendo cambiare il passato, Pannir si concentra sul presente e sul futuro. Dal braccio della morte compone poesie, prega e scrive testi per alcuni musicisti locali molto popolari. Vorrebbe insegnare ai giovani a non compiere i suoi stessi sbagli.
Long drop
«Giovedì notte li senti urlare, gridare, pregare», ha riferito un ex-detenuto in cella due piani sopra il patibolo. Ed è proprio recitando una preghiera che la voce e il collo di Kalwant si sono brutalmente spezzati giovedì 7 luglio 2022. L’amico Pannir ha raccontato ai familiari di aver sentito il compagno di sventura passare davanti alla sua cella, pregando ad alta voce fin sulla forca. La mattina dell’impiccagione Sonia, la sorella di Kalwant, non ha avuto la forza di entrare in obitorio a identificare il corpo. A farlo è stata la giovanissima nipote Kellvina “sher potte” (leoncina), che non potendo partecipare ai funerali era disposta a tutto pur di rivedere lo zio.
Il boia di Singapore impicca i condannati con la tecnica del “long drop” (caduta lunga); calcola la lunghezza della corda sulla base del peso corporeo del prigioniero in modo che sia sufficiente a spezzargli il collo senza decapitarlo o rischiare che muoia per soffocamento. Il risultato è osceno. Come hanno raccontato i familiari di Kalwant, il viso del ragazzo impiccato sembrava non avere un solo osso integro. Il collo era distorto e orribilmente allungato, tanto che testa e corpo parevano appartenere a due persone distinte. […]