L’amministrazione Obama ha approvato un programma di trivellazioni petrolifere nell’Artico presentato dalla multinazionale anglo-olandese Shell. L’area di lavoro si trova a circa 110 chilometri dalla costa nord dello stato federale americano dell’Alaska.
Le organizzazioni ambientaliste e in particolare l’ong Greenpeace hanno fortemente criticato il via libera a questa operazione perché reputano molto elevati i rischi di contaminazione dell’area in caso di incidenti con fuoriuscita di petrolio.
Il colosso petrolifero Shell aveva dovuto interrompere le operazioni a inizio luglio, per attendere l’arrivo di una nave rompighiaccio di supporto. L’imbarcazione era necessaria per svolgere le trivellazioni nel rispetto delle norme ambientali che regolano la regione artica.
Il direttore dell’agenzia di stato che regola l’applicazione degli standard in materia di sicurezza ambientale ha in seguito confermato che le operazioni non costituiscono un rischio per l’ecosistema artico. La Shell ha ribadito la volontà di lavorare in maniera responsabile e sicura.
Gli ambientalisti sono però molto critici nei confronti di questa concessione, perché un incidente provocherebbe un vero e proprio disastro ambientale per tutta l’area. La bassa temperatura dell’acqua e la diffusa presenza di ghiaccio renderebbero quasi impossibile ripulire l’area.
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, fin dall’inizio del proprio mandato del 2009, ha posto l’accento sull’importanza della riduzione dei fattori che causano il surriscaldamento globale e i cambiamenti climatici. All’inizio di agosto Obama ha dichiarato di voler attuare leggi più dure per diminuire le emissioni industriali. Il 13 agosto ha inoltre annunciato un viaggio in Alaska, per far visita alle comunità colpite dai danni dei cambiamenti climatici.
Proprio per questo motivo, la concessione alla Shell è stata duramente criticata dall’ong Greenpeace e Annie Leonard, il direttore esecutivo dell’ong, ha definito la scelta di Obama “un’azione ipocrita”.
Anche altre compagnie petrolifere negli ultimi anni hanno esplorato i fondali marini nel nord dell’Alaska, ma senza alcun successo. Secondo la società dei geologi statunitensi, quest’area potrebbe contenere il 13 per cento del totale delle riserve petrolifere ancora inesplorate.
La Shell ha investito circa sei miliardi e mezzo di euro in uno studio sull’esistenza di questo bacino petrolifero. Dopo le gravi perdite della stagione del 2012, le trivellazioni nell’Artico potrebbero segnare per la Shell una fase di ripresa.
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