Lo scontro scoppiato il primo gennaio tra due gang rivali in un carcere del Brasile ha scatenato una sommossa terminata in un bagno di sangue. Circa 60 persone hanno perso la vita e sei cadaveri sono stati trovati decapitati.
All’origine della ribellione nel carcere Anisio Jobin a Manaus, nella regione amazzonica del Brasile, durata diciassette ore, ci sarebbe stata una rissa tra gang rivali, il Primeiro Comando da Capital e la Familia do Norte, la prima legata ai trafficanti di droga di San Paolo, la seconda al Commando rosso di Rio de Janeiro.
Gli scontri tra le due principali bande di detenuti sono frequenti e sanguinosi. Un anno fa è stata interrotta la tregua tra di loro e negli ultimi mesi le prigioni brasiliane sono tornate a essere un campo di battaglia.
Secondo il segretario di Pubblica sicurezza di Amazonas, Sergio Fontes, il bilancio potrebbe aggravarsi nelle prossime ore e non è stato ancora possibile stabilire il numero di quanti carcerati siano riusciti a fuggire durante la sommossa.
La testa decapitata di alcuni prigionieri è stata lanciata fuori dalle mura del penitenziario. Dodici guardie carcerarie sono state tenute in ostaggio dai detenuti in rivolta prima che la polizia in tenuta antisommossa riuscisse a sedare la ribellione.
Il sistema carcerario brasiliano, con prigioni sovraffollate e sommosse periodiche dei detenuti, è criticato dalle associazioni per la difesa dei diritti dei detenuti.
In alcuni video diffusi online dal quotidiano Em Tempo di Manaus è possibile vedere la situazione all’interno del penitenziario alla fine della rivolta: sangue ovunque, e cadaveri ammucchiati sul pavimento della prigione.
Quella di domenica è stata una delle sommosse più sanguinose dopo la ribellione nella prigione Carandiru a San Paolo, in cui morirono 111 detenuti, la maggior parte negli scontri con la polizia.
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