Sea Watch sentenza Strasburgo | Sentenza Corte europea dei diritti dell’uomo spiegata
La decisione della Corte di Strasburgo di respingere il ricorso dei migranti della Sea Watch è stata accolta con stupore da parte di moltissimi sostenitori della necessità di far sbarcare immediatamente i profughi soccorsi dall’Ong e bloccati sulla nave dal 12 giugno.
Gli avvocati dell’Ong hanno espresso “sconcerto” per la decisione, ritenendo che le misure d’urgenza per i migranti che si trovano a bordo della nave apparissero necessarie.
Il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini ha accolto invece la sentenza dello scorso 25 giugno come una vittoria della sua linea politica: “Anche la Corte Europea di Strasburgo conferma la scelta di ordine, buon senso, legalità e giustizia dell’Italia”, ha dichiarato il leader della Lega, “porti chiusi ai trafficanti di esseri umani e ai loro complici”.
Tuttavia, se è vero che la Corte non ha intimato all’Italia di provvedere allo sbarco immediato delle persone a bordo della Sea Watch, è vero anche che i giudici non hanno affatto dato ragione a Salvini.
Sea Watch sentenza Strasburgo: ecco cosa ha detto veramente la Corte
Prima di vedere esattamente cosa ha stabilito la Corte, facciamo per un attimo un passo indietro per capire che tipo di ricorso è stato inviato a Strasburgo.
In base all’articolo 39 del Regolamento di procedura della Corte Edu, la Corte può prendere di sua iniziativa o su richiesta di parte delle “misure provvisorie la cui adozione è ritenuta necessaria nell’interesse delle parti o del corretto svolgimento della procedura”.
Un esempio recente in cui la Corte ha accolto la richiesta di misure urgenti è quello che ha riguardato lo sgombero dei rom a Giugliano, in Campania (qui i dettagli).
Alcuni dei migranti a bordo della Sea Watch, sulla base di questa norma, avevano chiesto alla Corte europea di intimare al governo italiano di autorizzare l’ingresso della nave nelle acque territoriali ed il successivo sbarco, invocando il rispetto dell’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione.
Questo diritto infatti è ritenuto incompatibile con la prolungata permanenza dei naufraghi su una nave sovraffollata e inidonea ad ospitarli per un lasso di tempo di tale entità, senza possibilità di presentare domanda di protezione internazionale.
I giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo, dopo avere rivolto domande ai ricorrenti e al governo sulla situazione a bordo e sulla gestione delle situazioni di vulnerabilità, hanno deciso di non indicare al Governo la misura dell’autorizzazione all’ingresso, ma hanno comunque richiesto alle autorità italiane di continuare a fornire assistenza di carattere umanitario.
A chiarire il contenuto della decisione della Corte di Strasburgo è stato Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, che in un’intervista al Manifesto ha sottolineato il “doppio profilo” della sentenza.
“Da un lato la Corte è giudicabile molto cauta, dall’altro è in linea con analoghe sentenze”, spiega Palma. “Cioè afferma che non c’è l’urgenza di intervenire perché nei casi drammatici l’Italia ha provveduto a far scendere le persone. Poi però dice al governo di continuare a fare il possibile, perché controllerà l’evolversi della situazione.
“Questa seconda parte”, aggiunge, “mi pare la più interessante perché afferma esplicitamente che rispetto allo sviluppo di quella situazione, e quindi rispetto alle persone sulla nave, c’è una responsabilità italiana”.
“Quando la Corte entrerà nel merito, perché questa è solo l’urgenza (…) partirà dal fatto che la responsabilità è italiana. E qui ci potrebbero essere valutazioni diverse da quelle espresse”, sottolinea il Garante, che ha già presentato alla Procura di Roma un esposto per richiedere una verifica su “eventuali aspetti penalmente rilevanti” nell’attuale blocco della Sea Watch 3.
In conclusione, Palma dice di considerare la decisione “in linea con altre della stessa Corte” e sottolinea che questa scelta “non chiude le porte a possibili decisioni future nella valutazione del merito di natura differente”.
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