Ci sono cose che non sono solo questioni di numeri, come Schengen. Ogni giorno sono circa 3,5 milioni coloro che attraversano le frontiere tra i 22 stati membri dell’Unione europea più Svizzera, Norvegia, Liechtenstein e Islanda e i beni e servizi che vengono scambiati all’interno dell’area Schengen quotidianamente valgono circa due miliardi di euro, ma la questione non si esaurisce qui.
Sebbene, secondo uno studio dell’agenzia di programmazione francese, France Stratégie, la reintroduzione di controlli permanenti all’interno dell’Unione europea costerebbe complessivamente 110 miliardi di euro e diminuirebbe Pil europeo di circa 0,8 punti percentuali nell’arco di un decennio, non sarebbe forse questa la perdita più importante.
Al di là dei costi per ripristinare i controlli alle frontiere che ogni paese firmatario dell’accordo dovrebbe sostenere, degli ingorghi di traffico e del fardello burocratico che deriverebbero dalla sospensione o addirittura dallo smantellamento di Schengen, così chiamato a seguito della città lussemburghese in cui fu firmato e che avrebbero un fortissimo impatto su settori come turismo, commercio al dettaglio, manifattura, industria e chi più ne ha più ne metta, ad essere in discussione è la nostra libertà di movimento.
Firmato nel 1985 Schengen ha consentito a un’intera generazione di cittadini europei di non conoscere quella tediosa Europa dei controlli, dei muri e degli steccati materiali e immateriali che oggi tornano a tormentare i nostri sogni.
Quello che è già in atto è un attentato a quello che è stato considerato per anni un processo irreversibile. Una delle principali realizzazioni dell’Unione europea. Lo spazio Schengen oggi permette di viaggiare senza restrizioni all’interno di un territorio costituito da 26 paesi, in cui vivono 400 milioni di cittadini.
Sei paesi hanno già sospeso Schengen, più o meno parzialmente.
L’Austria ha da poco confermato che da aprile ci saranno controlli per limitare il flusso dei migranti sui valichi con l’Italia allarmando i presidenti delle regioni frontaliere del Tirolo e del Trentino Alto-Adige.
L’incapacità degli stati membri dell’Unione europea di gestire congiuntamente, tempestivamente ed efficacemente la crisi dei migranti potrebbe produrre un arretramento di portata storica rispetto alla conquista di libertà che Schengen rappresenta.
La difesa di Schengen non è certo uno sforzo di retorica per me, noi siamo l’incarnazione di ciò che Schengen ha prodotto come generazione. Per questo siamo chiamati alle armi per difenderlo.
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