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    Il 2018 dell’America Latina: elezioni in 8 paesi con l’incognita della svolta a destra

    L'anno appena cominciato vede numerosi appuntamenti elettorali in un continente alla ricerca di un equilibrio politico. L'analisi di Carlo Cauti

    Di Luca Serafini
    Pubblicato il 5 Gen. 2018 alle 17:51 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:05

    Il 2018 sarà un anno elettorale in ben otto Paesi dell’America Latina. Circa 425 milioni di latinoamericani, cioè due abitanti su tre della regione, si daranno, nel giro di 12 mesi, nuovi governi. Valutando la situazione politica attuale, è possibile fin d’ora dire che in tutti i Paesi i risultati saranno influenzati dagli infiniti scandali di corruzione che hanno coinvolto, e stanno tuttora coinvolgendo, governi impopolari attualmente in carica. Inoltre, ci sarà una probabile svolta a destra e dalle urne emergeranno forze estranee alla tradizionale politica latinoamericana.

    L’eccezione cubana e le novità ‘obbligate’
    La maggior parte di questi cambiamenti avverrà tramite processi elettorali, con l’eccezione di Cuba, dove il prossimo aprile il dittatore Raul Castro, 86 anni, dovrebbe lasciare il posto a Miguel Díaz-Canel, 57 anni ‘appena’. Naturalmente anche Díaz-Canel è membro del Partito Comunista Cubano, ma è il primo leader de L’Avana non membro del clan Castro.

    Dal canto loro, MessicoBrasile e Colombia sceglieranno nuovi leader senza la possibilità di rieleggere quelli attualmente in carica. Il Messico, infatti, proibisce la rielezione fin dalla Costituzione post-rivoluzionaria del 1917, mentre la Colombia è tornata a vietarla durante l’attuale Amministrazione del presidente Juan Manuel Santos. Nel caso del Brasile, la popolarità del presidente Michel Temer è talmente bassa (meno dell’8%), e la sua età talmente avanzata (77 anni) che una sua rielezione pare relegata alla dimensione dell’irrealtà.

    Il Paraguay, piccola ma dinamica economia dell’America del Sud, deciderà se mantenere o meno il tradizionale Partito Colorado al potere. Ma, anche nel caso di Asunción, la rielezione dell’attuale presidente Horacio Cartes è proibita dal Costituzione del 1992, varata dopo la fine della sanguinosa dittatura di Alfredo Stroessner.

    Interessanti, infine, saranno le elezioni in due Paesi politicamente agli antipodi: in Costa Rica, un Paese in cui – secondo i sondaggi dell’istituto Latinobarometro – i cittadini sono i più soddisfatti della democrazia, e in Venezuela, Paese in cui la tensione è costante e la crisi umanitaria è aggravata dagli abusi e dalle quotidiane  violazioni di diritti umani del regime di Nicolás Maduro.

    Le ultime elezioni locali in Venezuela, realizzate a fine 2017, sono state caratterizzate da frodi ormai sfrontate. Se ciò dovesse ripetersi, è quasi certo che il regime madurista riuscirà ad imporre un suo uomo al Palazzo Miraflores. Anche perché la maggior parte dei potenziali candidati delle opposizioni non possono concorrere a causa di decisioni giudiziali, o perché sono prigione o perché sono in esilio.

    Svolta a destra generalizzata
    La vittoria del conservatore Sebastián Piñera in Cile a dicembre ha inoltre confermato la svolta dell’America Latina a destra, dopo che nei 18 mesi precedenti Mauricio Macri era salito al potere in Argentina, Michel Temer in Brasile e Pedro Pablo Kuczynski in Perù.

    I governi di sinistra latinoamericani sono in forte difficoltà, a causa di un’usura formidabile sofferta dopo la riduzione dei prezzi delle commodities internazionali e l’emergere delle conseguenze nefaste degli eccessi di spesa pubblica che hanno finanziato le loro politiche populiste. Fattori che hanno spianato la strada alle forze conservatrici. Un’alternanza naturale, che quest’anno però potrebbe dare spazio a tendenze estreme.

    Infatti, il crescente sentimento di insoddisfazione delle popolazioni latinoamericane nei confronti delle loro rispettive classi politiche sarà il fattore determinante in questa tornata elettorale. Per fare solo un esempio, lo scandalo del gigante edile brasiliano Odebrecht, coinvolto in una fitta rete di tangenti in tutta la regione in cambio di appalti pubblici, ha raggiunto l’apice del potere in diversi Paesi. Gli arresti di ministri e presidenti ha mostrato al popolo come la corruzione sia drammaticamente radicata nella regione. Generando un forte risentimento e scuotendo il panorama politico locale.

    Gli elettori latinoamericani sono stanchi e spazientiti dalle malversazioni e della tracotanza dei loro leader. Le elezioni del 2018 saranno dunque caratterizzate da una rivolta contro la politica tradizionale, e potrebbero portare a sorprese, non necessariamente positive. Lo si è visto nelle elezioni cilene, dove i candidati estremisti hanno maggiormente capitalizzato questo sentimento e sono stati i più competitivi: i radicali di sinistra di Beatriz Sánchez, e di destra di José Antonio Kast.

    Rischio estremismi
    In conclusione, siamo agli albori di una vera e propria crisi della leadership regionale in America Latina, con la possibilità sempre più concreta della conquista del potere da parte di avventurieri che portano avanti quasi ovunque un discorso retrogrado – da un lato gente che crede ancora nel socialismo scientifico e dall’altro accoliti di dittatori sanguinari -, ma allo stesso tempo messianico, prospettando una sorta di rifondazione della democrazia.

    Un esempio su tutti è il caso del deputato federale brasiliano, Jair Bolsonaro, che difende in pieno Congresso nazionale la dittatura militare verde-oro e i torturatori in divisa. Ma vale anche per il Messico, dove il candidato favorito oggi è Andres Manuel López Obrador, estremista di sinistra e nazionalista con un discorso anti-americano.

    La vittoria di candidati del genere potrebbe mettere a dura prova la stabilità politica e la normale dialettica democratica, recentemente conquistate e duramente mantenute, in una regione del mondo tradizionalmente irrequieta e sempre alla ricerca di “libertadores”, “apóstoles” o “salvadores de la patria”.

    Questo articolo è stato pubblicato da AffarInternazionali con il titolo “America Latina: 2018, maratona di elezioni tra scandali” e ripubblicato in accordo su TPI con il consenso dell’autore.

    *Carlo Cauti è un giornalista italiano di base a São Paulo del Brasile. Collabora regolarmente con diverse testate italiane e brasiliane.

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
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