Il corpo trovato il 18 ottobre dagli investigatori argentini nel fiume Chubut, in Patagonia centrale, è quello di Santiago Maldonado, l’attivista per i diritti degli indigeni Mapuche scomparso durante una manifestazione lo scorso 1 agosto.
A confermarlo, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters, è stato uno dei fratelli di Maldonado, che ha parlato con i giornalisti dopo il riconoscimento della salma in obitorio.
“Abbiamo visto il corpo. Abbiamo riconosciuto i tatuaggi di Santiago e siamo convinti che sia lui”, ha detto l’uomo.
In base a quanto stabilito da membri dell’opposizione e associazioni umanitarie Maldonado, un artigiano di 28 anni, sarebbe scomparso dopo essere stato fermato dalle forze di sicurezza durante gli scontri scoppiati nel corso di una protesta degli indigeni Mapuche, che rivendicano da anni il diritto alla riappropriazione di terre appartenute ai loro antenati che oggi sono di proprietà della famiglia Benetton.
Il presidente argentino Mauricio Macri è stato duramente criticato per la gestione del caso Maldonado.
Secondo i suoi oppositori, infatti, il governo avrebbe gestito nel peggior modo possibile la situazione, arrivando addirittura a dare la colpa della scomparsa agli stessi attivisti per i diritti dei Mapuche.
La vicenda ha avuto una grande eco in tutto il paese e ha messo in secondo piano la campagna per le elezioni legislative di domenica 22 ottobre, tanto da convincere i principali partiti a interromperla dopo l’ufficialità della notizia del riconoscimento della salma del giovane artigiano.
Il tema degli abusi perpetrati dalle forze di sicurezza è particolarmente sentito in Argentina dove, durante gli anni della dittatura militare tra il 1976 e il 1983, 30mila oppositori – i cosiddetti desaparecidos – sparirono nel nulla senza lasciare traccia.