Il ministro dell’Interno Matteo Salvini nel suo recente incontro con il premier Orban ha espresso viva ammirazione per il modello ungherese e la volontà di seguirne l’esempio sui fronti dell’economia, del rapporto con l’Unione europea e della gestione dei flussi migratori.
Matteo Salvini, che è persona preparata e dall’indiscutibile intuito politico, sa perfettamente che l’Ungheria è un paese in cui sono sistematicamente calpestati i diritti civili e politici di coloro che vengono considerati traditori della Patria, negate le libertà fondamentali, ignorate le basi del concetto stesso di democrazia.
Qualche esempio. Coerentemente con l’esasperazione del concetto di sovranità nazionale, Viktor Orban si è negli anni letteralmente impossessato delle testate giornalistiche del Paese e dei canali televisivi che potessero garantirgli il controllo dell’opinione pubblica ungherese attraverso leggi ad hoc e il potenziamento del ruolo dell’Autorità Nazionale delle Telecomunicazioni.
In questo modo l’editoria pubblica si è trasformata nella cassa di risonanza della propaganda governativa. Ha usato la raccolta pubblicitaria come arma di rappresaglia e come bavaglio, costringendo i giornali non allineati alla chiusura attraverso il blocco di questo tipo necessario di finanziamento, come è successo a Rtl Klub, di proprietà del gruppo tedesco Bertelsmann.
Ma anche altri media, come i quotidiani Nepszabadsag e lo storico Magyar Nemzet, il settimanale Heti Valasz e la radio Lanchid hanno chiuso i battenti o sono stati venduti, colpevoli di avere osato esprimere dissenso nei confronti delle politiche del primo ministro tanto ammirato da Salvini.
Anche sul versante istituzionale Orban è riuscito a imporre il suo dominio incontrastato sul paese esautorando di fatto, attraverso un pesante intervento sulla Costituzione, la Corte Costituzionale; ha quindi vietato i dibattiti elettorali, ha emanato una legge che costringe i neolaureati a rimanere in Ungheria per un periodo dai tre ai dieci anni, ha negato i diritti e la possibilità di definirsi famiglia alle coppie non sposate, senza figli o omosessuali, dimostrando posizioni molto simili a quelle del ministro per la Famiglia Lorenzo Fontana, ovviamente in quota Lega (qui cosa pensa il ministro sulle famiglie gay).
Anche su immigrazione, come è evidente, le posizioni di Salvini e di Orban collimano. Sarà interessante a questo punto capire se il ministro leghista abbia intenzione di circondare le coste italiane con un filo spinato sull’esempio del famigerato muro ungherese.
Per ora ci limitiamo a prendere atto della sintonia assoluta per quanto riguarda l’avversione nei confronti di George Soros, le cui ong sono state già state bandite per legge in Ungheria e il cui operato verso i migranti è considerato un vero e proprio crimine, con la conseguenza dell’arresto per chi ci lavora.
Anche in ambito economico Salvini si ritrova ad inseguire Orban, come nel caso della flat tax che, lungi dall’essere un provvedimento di ispirazione liberale, come alcuni per un attimo hanno creduto, nasconde la conseguenza del rischio di un ulteriore impoverimento della classe media.
Il paradiso ungherese tanto decantato dal ministro e banco di prova dell’esperimento è una realtà in cui sempre più persone guadagnano meno della metà del minimo salariale e dalla quale in pochi anni oltre 500mila giovani sotto i trent’anni sono fuggiti in cerca delle opportunità offerte dalle tanto criminalizzate democrazie liberali dell’Europa centrale.
Tanto per intenderci, il Pil pro capite di questo esempio di economia rampante e di benessere è, con i suoi 12.600 euro, il quintultimo dell’eurozona, davanti a Polonia, Croazia, Romania e Bulgaria.
Quello che non si capisce, al netto del fatto che si potrebbe far notare al ministro Salvini che il suo amico e modello politico Orban è l’esempio vivente della negazione dei valori europei che egli dice di voler difendere di volta in volta dalla minaccia dei musulmani, degli africani, degli zingari, quello che non si capisce è come possa, il ministro, appoggiare un premier che non solo fa l’aniteuropeista sedendo al parlamento europeo al fianco di Angela Merkel nell’European People’s party, il principale partito europeista ma che lo fa con i soldi dei paesi del blocco centrale e che come l’Italia, attraverso l’Unione, finanziano le politiche e rimpinguano i bilanci dei paesi del blocco ex sovietico.
L’Italia, per intenderci, tra il dare e l’avere, è in credito nei confronti dell’Unione per 3,577 miliardi; l’Ungheria in debito per 3,137, in linea con tutti i paesi del Gruppo Visegrad.
La Polonia (altro Stato che si sta progressivamente spingendo su una china semiautoritaria) per esempio rivede 8 miliardi e mezzo in più rispetto a quanti non ne dia; la Germania ne dà oltre 10 in più di quanti non ne riceva.
Insomma pecunia non olet; a puzzare sono, a quanto pare, non solo le leggi europee ma anche e soprattutto quegli ideali che sono stati all’origine e sono oggi la base dell’Europa unita.
Su una cosa, al di là delle convinzioni personali, possiamo credo dirci tutti d’accordo: questa Europa va cambiata. Ma va cambiata anche a partire non tanto dalla cancellazione di questa forma di aiuto (fisiologica e normale per un’entità sovranazionale come lo è per esempio nel rapporto tra le regioni italiane) quanto vincolando in maniera strettissima i beneficiari di questi miliardi al rispetto non solo delle normative europee ma anche degli standard di democraticità del proprio ordinamento, a partire dalle liberà fondamentali.
Un’Europa tenuta sotto minaccia dagli stessi paesi che l’Europa stessa foraggia a piene mani è un paradosso che può diventare fatale.
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