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    È morta la donna sopravvissuta all’ebola eletta persona dell’anno dal Time nel 2014

    Salome Karwah era guarita dal virus e la rivista americana aveva voluto celebrarla con una sua copertina. È deceduta dopo aver partorito il suo quarto figlio

    Di TPI
    Pubblicato il 2 Mar. 2017 alle 10:15 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 07:52

    Nel 2014 Salome Karwah era sopravvissuta all’ebola che aveva colpito l’anno precedente la Liberia e altri due stati dell’Africa occidentale. Per questo e per il suo impegno in prima linea contro la diffusione del virus, l’infermiera liberiana era stata scelta come persona dell’anno dalla rivista americana Time. Con indosso il suo camice celeste, Salome era apparsa sulla copertina del prestigioso giornale. 

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    La giovane infermiera liberiana è morta il 17 febbraio in un ospedale di Monrovia, mentre partoriva il suo quarto figlio. Il marito della donna ha accusato il personale medico di negligenza e ha raccontato alla Bbc che gli infermieri che dovevano assistere sua moglie si sono rifiutati di toccarla per paura di contrarre a loro volta l’ebola. Recentemente la donna si era sottoposta a una seria di esami e i risultati parlavano chiari: erano tutti negativi. Salome era guarita dal virus. 

    “Siamo stati costretti ad aspettare chiusi in macchina per tre ore, perché le infermiere avevano timore a toccarla”, ha raccontato il marito di Salome distrutto dal dolore. “Sono dovuto andare io di persona al pronto soccorso, prendere una sedia a rotelle e portare mia moglie in sala operatoria. Quello che fa davvero male è che l’infermiera di turno invece di soccorrerla è rimasta in piedi accanto al banco della reception, occupata a postare su Facebook”. 

    L’uomo ha accusato gli operatori sanitari di aver agito con superficialità e in modo incosciente, rifiutandosi di soccorrere adeguatamente una donna in difficoltà, per timore di contrarre l’ebola. Inoltre, la struttura ospedaliera ha emesso immediatamente un foglio di dimissioni per Salome Karwah, nonostante i parametri vitali non fossero buoni dopo il parto cesareo praticato. “Aveva la pressione sanguigna troppo alta”, ha precisato il marito della donna. 

    Al momento l’ospedale non ha diffuso alcuna dichiarazione, mentre le autorità hanno aperto un’indagine per fare luce sulla vicenda. “L’indagine è in corso e non c’è molto che possiamo dire”, ha commentato il direttore dell’ospedale liberiano, Francis Kateh. “Siamo consapevoli del dolore del marito, ma nel contempo dobbiamo attivare delle procedure di sicurezza per evitare contagi. L’ospedale sapeva dell’ebola e i medici hanno operato la donna nonostante i rischi”. 

    A causa del diffondersi dell’ebola, Salome Karwah aveva perso molti parenti compresi i suoi genitori. Lei era stata fortunata rispetto ai suoi familiari, riuscendo a sopravvivere grazie a un vaccino messo a punto da un equipe di scienziati americani e liberiani. Tutti i test effettuati di recente sulla donna erano risultati negativi. 

    Nel gennaio 2016 l’Organizzazione mondiale della sanità ha decretato la fine della trasmissione del virus di ebola in Liberia, precisando che “tutte le catene note di trasmissione sono state fermate in Africa occidentale, dopo tre anni in cui la più grande e drammatica epidemia aveva devastato tre paesi con un bilancio pesante: 4.809 morti in Liberia, 3.955 in Sierra Leone, 2.536 in Guinea e 8 in Nigeria”. 

    Anche prima del diffondersi dell’ebola e dopo 14 anni di conflitto brutale, il sistema sanitario della Liberia era in crisi. L’epidemia e i suoi effetti devastanti hanno messo in luce le debolezze del settore sanitario liberiano e ancora oggi a distanza di due anni, l’assistenza sanitaria nel paese è quasi inesistente. Si pensava che l’intervento internazionale per debellare e sconfiggere la malattia culminasse nella costruzione di un apparato sanitario più forte, ma la situazione è ben diversa dalla realtà. Possono curarsi solo coloro che hanno abbastanza soldi per viaggiare all’estero. 

    “Salome è stata una nostra paziente e dopo aver coraggiosamente combattuto la malattia che ha ucciso i suoi genitori e altri membri della sua famiglia, è tornata da noi per offrire il suo supporto pratico e psicologico alle persone colpite dalla malattia”, ha dichiarato Medici senza Frontiere in una nota. 

    “L’esperienza diretta della malattia ha mosso in Salome una grande empatia verso i pazienti dei quali si è presa cura. Tutti i membri dello staff che hanno lavorato con lei ricordano la sua forza e compassione, ma anche il suo sorriso. Ha dato un enorme contributo al lavoro di Msf nel momento del picco dell’epidemia a Monrovia”.

    “Salome è diventata anche il simbolo della lotta alla stigmatizzazione dei sopravvissuti all’Ebola, prendendo parte a molte interviste con media locali e internazionali”, conclude la nota. “E’ stato davvero coraggioso da parte sua, ancor più in un paese nel mezzo di un’epidemia e spaventato dal virus. La nostra vicinanza va alla sua famiglia in questo difficile momento”. 

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