I resti ossei rinvenuti a Ekaterinburg e poi sepolti a San Pietroburgo appartengono davvero ai Romanov che nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918, diciotto mesi dopo l’abdicazione di Nicola II in seguito ai disordini del febbraio 1917, vennero giustiziati a Ekaterinburg dai bolscevichi.
L’ennesima conferma è arrivata oggi, a cento anni da quella strage che mise fine ai 300 anni della dinastia Romanov a capo dell’Impero russo.
Gli esperti, si è appreso da una nota della Commissione investigativa, hanno confrontato i profili genetici dei resti a campioni di Dna dei parenti in vita confermandone l’autenticità. Ma solo “dopo il completamento delle indagini di due commissioni mediche, verrà presa una decisione”.
La strage
Dopo essere stati giustiziati, i corpi dell’ultimo zar Nicola II, della moglie Alexandra e dei loro cinque figli che avevano tra i 10 e i 20 anni, furono gettati in fretta e furia in una fossa comune alle porte di Ekaterinburg, città sugli Urali.
I resti di Nicola, Alexandra e tre dei figli – Anastasia, Olga e Tatiana – furono ritrovati solo nel 1979. Una scoperta rivelata solo in pieno crollo dell’Urss.
Solo nel 1998 le ossa vennero identificate ufficialmente e infine sepolte nella cripta della cattedrale di Pietro e Paolo a San Pietroburgo. Ma l’allora patriarca Aleksej snobbò il funerale e mandò un vescovo a presiedere la cerimonia di sepoltura di quelli che chiamò “resti ignoti”. Tutti i membri della famiglia imperiale vennero poi canonizzati nel 2000.
I resti dello zarino Aleksej e della sorella Maria furono invece ritrovati solo nel 2007, ma – ad oggi – restano conservati in custodie stagne negli Archivi di Stato e non sono mai stati riuniti al resto della famiglia per i dubbi della Chiesa sul loro Dna. Tanto che tre anni fa è stata riaperta l’inchiesta sulla “Fine dei Romanov”.
Intanto, il centenario della strage è stato ricordato oggi da migliaia di russi a Ekaterinburg dove si è svolta una processione guidata dal patriarca della Chiesa ortodossa. Assente invece il presidente russi Vladimir Putin.