Russia, il prete italiano che sfida Putin
È il prete più celebre della Russia da quando, a fine luglio, ha sfidato il presidente Putin accogliendo nella sua chiesa un gruppo di ragazzi che stavano manifestando contro il governo. E ora è tra i protagonisti di un movimento di opinione che coinvolge religiosi, avvocati, artisti e insegnanti, e che sta facendo sentire la sua voce per scongiurare una deriva autoritaria basata su terrore e repressioni.
Le proteste, che hanno portato a violenze da parte della polizia e oltre mille arresti, sono esplose quando è stato impedito alla quasi totalità dei politici dell’opposizione di candidarsi alle elezioni comunali dell’8 settembre.
Il gesto ha suscitato particolare scalpore perché è la prima volta che un esponente del patriarcato ortodosso, da sempre allineato con il governo, si pone in aperto dissidio con il Cremlino. Ma anche perché padre Ioan Guaita non è russo ma italiano.
Finora Giovanni (questo il suo nome al secolo) non ha subito ritorsioni e nemmeno alcun richiamo da parte del patriarca Kirill: “Anche se le critiche non sono mancate”, racconta. “C’è chi ha detto che mi sono potuto permettere di fare una cosa del genere perché ho il passaporto italiano, e chi ha detto che me lo sono potuto permettere in quanto ortodosso, perché un cattolico o un protestante non l’avrebbero passata liscia”.
Nei giorni scorsi diversi tribunali hanno condannato a pene durissime (fino a 6 anni di carcere) i giovani che erano stati malmenati dalla polizia il 27 luglio. Il 17 settembre padre Giovanni con altri 6 sacerdoti del Patriarcato ha scritto una lettera aperta invocando autentica giustizia e una revisione dei processi. In particolare si chiede che le misure punitive siano “commisurate alla violazione della legge” e si esprime stupore per il rifiuto dei giudici di usare come prove le videoregistrazioni fatte da molte persone durante gli eventi incriminati, da cui risulta evidente il comportamento pacifico degli arrestati di fronte alle violenze ingiustificate dei poliziotti.
Sardo, 57 anni, Giovanni vive in Russia dal 1984, insegna storia della Chiesa, è un esperto del cinema di Andrej Tarkovskij, ha scritto diversi libri, tra cui uno sul genocidio dell’Armenia chiamato L’Islam non ha colpa dei loro misfatti, e ha fatto parte più volte della delegazione del patriarcato di Mosca in Vaticano, incontrando personalmente Benedetto XVI e papa Francesco. Eppure non si considera un convertito.
Cresciuto in una famiglia cattolicissima, praticante e impegnato nel volontariato, aveva già fatto da tempo una scelta religiosa quando dieci anni fa è diventato un monaco ortodosso. “Per me non ha rappresentato una rottura con il passato ma una tappa di un percorso che considero coerente”.
Assolutamente no. Io continuo a sentirmi cattolico, sia nel senso etimologico (“cattolico” significa universale) sia sotto il profilo affettivo, sia sotto quello teologico, perché non credo che ci siano differenze dogmatiche così rilevanti tra cattolici e ortodossi. Posso dire che se ho scelto di far parte della Chiesa ortodossa, è prima di tutto perché vivo in Russia, che è un paese di tradizione orientale.
Ho studiato come slavista in Svizzera, e questo mi ha dato la possibilità di avere delle borse di studio a Mosca. Sono arrivato in Unione Sovietica una settimana dopo che Gorbaciov era diventato segretario del partito, quindi ho vissuto dall’interno tutti i cambiamenti, la Perestrojka, l’avvento di Eltsin e poi di Putin.
A Mosca c’era una sola parrocchia cattolica, con un prete anziano, cieco, sordo ed estremamente conservatore: contestava apertamente il Concilio Vaticano II e celebrava ancora la messa dando le spalle ai fedeli. Al tempo stesso ho conosciuto una comunità di ortodossi molto aperti, accoglienti e dialoganti, e un grande teologo che sosteneva che quella ortodossa e quella cattolica sono in realtà due tradizioni di un’unica Chiesa, e che ciò che ci separa sono soprattutto malintesi e questioni storiche e politiche.
Esatto. La celebre questione del “filioque”, se cioè lo Spirito Santo proceda dal Padre e dal Figlio o solo dal Padre, è il risultato di un equivoco linguistico, tanto che il Credo in greco è lo stesso per tutti, e i cattolici lo hanno modificato solo nella traduzione latina. Lo scisma del 1054 è stato causato dal cattivo carattere dell’ambasciatore del papa e del patriarca di Costantinopoli, e la scomunica reciproca è stata ritirata nel 1965. Questo vuol dire che siamo in comunione.
L’unica vera differenza sta nel ruolo del Papa: il Vescovo di Roma è senza dubbio un “primus inter pares”, ma gli ortodossi sottolineano il “pares” mentre la Chiesa Cattolica rivendica un primato assoluto, e ha inserito il dogma dell’infallibilità papale.
L’atteggiamento di papa Francesco senza dubbio favorisce molto il dialogo con la Chiesa Ortodossa; un dialogo che è stato per anni particolarmente difficile proprio con la Chiesa russa: da questo punto di vista lo storico incontro tra Francesco e Kirill ha rappresentato l’ultima tappa di un rapporto che, in realtà, era già migliorato molto sotto il papato di Ratzinger: peraltro sono stato proprio io, nel 2013, a dover informare il patriarca delle sue dimissioni, ed eravamo tutti allibiti.
No, assolutamente. Anche perché i russi sono un popolo molto aperto e nei confronti degli italiani hanno una grandissima simpatia.
L’8 settembre ci sono state le elezioni nel Comune di Mosca e il comitato elettorale ha respinto le candidature di praticamente tutti gli esponenti delle opposizioni, adducendo varie motivazioni come brogli e firme false. Così non solo i partiti ma anche i cittadini, e soprattutto i giovani, sono scesi in piazza per manifestare il proprio dissenso di fronte al Comune di Mosca. E la mia parrocchia si trova proprio davanti al Comune.
Solo da parte della polizia: i manifestanti hanno sfilato in maniera assolutamente pacifica. Quando la polizia li ha caricati circa duecento ragazzi hanno cercato di rifugiarsi nella nostra chiesa.
Certo: la polizia ha impiegato una violenza estrema, prendendo i manifestanti a manganellate, fratturando gambe e braccia. Internet è pieno di queste scene che abbiamo visto anche dalle finestre della nostra chiesa. Durante la fuga, molti giovani a un certo punto si sono trovati imprigionati, tra un cortiletto e il muro della chiesa, e lo hanno scavalcato. Io ho detto loro che erano i benvenuti. Ho ricordato che in chiesa si prega, e quindi ho proposto di fare una preghiera per la pace, cosa che è stata subito accettata.
Non si tratta di politica: la Chiesa è aperta a tutti, io sono un prete e qualsiasi persona viene nella mia chiesa io devo accoglierla, e non fa alcuna differenza che lo faccia entrando dalla porta o scavalcando il muro di cinta.
Quella sera stessa, e anche la settimana dopo, quando c’è stata un’altra manifestazione, sono arrivati dei poliziotti. Ma non a chiedere conto del nostro comportamento: semplicemente perché erano stati tutto il giorno sotto il sole in tuta mimetica con il casco e lo scudo: erano ragazzi giovanissimi anche loro, stanchi e sudati, e ci hanno chiesto un po’ d’acqua e di poter usare il bagno.
Ho chiesto loro se erano credenti e ho ricordato loro che la violenza è un peccato molto grave. Ho detto che devono eseguire gli ordini, ma per arrestare una persona non c’è bisogno di usare violenza, e che quindi non devono malmenare i manifestanti.
Erano turbati. Non mi guardavano negli occhi, ma mi hanno ascoltato. D’altra parte questo è il lavoro del prete.
Nessun rimprovero e nessuna benedizione dai superiori. Ma ho ricevuto molte lettere entusiaste da ogni zona della Russia, anche dalla Siberia. Dopo il clamore suscitato dalla lettera aperta, però, un funzionario del patriarcato è intervenuto ufficialmente sostenendo che i preti abbiano fatto male ad intromettersi in una questione politica. Intanto però, in appena due giorni la petizione è stata firmata da più di 100 sacerdoti.
Sì, anche un gruppo di insegnanti ha scritto una lettera analoga alla nostra, che in pochissimo tempo ha raccolto 800 firme, e ora altre iniziative simili sono state prese da avvocati, attori, registi, medici e informatici. Insomma, siamo in gran fermento.
Per ora non è successo niente, poi viviamo in un paese in cui è sempre possibile dimostrare di qualsiasi persona che ha fatto qualcosa di contrario alla legge. Ma questo è la normalità ormai da molto tempo.
La Russia è un paese che cambia con una velocità sorprendente, ma non si sa mai in quale direzione. Il cammino verso un’autentica democrazia matura è ancora lungo: speriamo che il prezzo da pagare non siano altri spargimenti di sangue. Certo queste elezioni sono state un segnale inquietante.
Nel 2024 scade il suo ultimo mandato, e dovrà inventarsi qualcosa per restare al potere, anche perché dopo quello che è successo in questi anni perdere il potere potrebbe essere pericoloso per lui.
Gli anni di piombo, con il terrorismo, le stragi e il ruolo opaco dei servizi segreti, rappresentano un precedente significativo. Non dimentichiamo che Putin viene dal Kgb, e sa come creare le condizioni per instaurare un regime autoritario.
Io spero che si aprano più porte e porti possibile. Ovviamente va sempre fatto con intelligenza. Ma chiudersi del tutto sarebbe una tragedia: anche perché non solo siamo cristiani, ma siamo europei e l’Europa è stata costruita anche sui valori della solidarietà e della sensibilità riguardo al destino degli altri.
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