Vladimir Putin crede nel “passionarnost”, la forza vitale caratteristica di un popolo descritta dallo storico Lev Gumilev. «In natura come nella società, allo sviluppo segue il declino. Ma noi siamo una nazione abbastanza giovane e l’amore per la madrepatria è il fulcro del nostro futuro», disse nel febbraio del 2021. L’anno successivo invase l’Ucraina e 12 mesi dopo è ancora convinto di farcela.
Mosca non mollerà mai, anzi. Anche se la guerra dovesse continuare, entrando in una fase di stallo prolungato senza veri negoziati di pace, e pur soffrendo il distacco dalle economie occidentali, non del tutto compensato dai rapporti con la Cina, il Cremlino è determinato a sopravvivere al progressivo crollo dell’ordine mondiale post-1945 e a contribuire a un nuovo assetto internazionale.
Fortezza russa
Doveva crollare in poche settimane, eppure l’economia russa è ancora viva e vegeta. A un anno dall’invasione, non ha subito il tracollo previsto nonostante i ben dieci pacchetti di sanzioni dell’Unione europea e le misure concordate con Usa, Regno Unito e altri partner.
In strada infatti, non se ne sentono gli effetti. «Non si vedono più proteste di piazza come un anno fa, anche perché chi ha potuto ha lasciato il Paese», ci spiega, da Mosca, il professor Vincent Ligorio, docente di Relazioni internazionali all’Università presidenziale russa per l’economia nazionale e la funzione pubblica (Ranepa). «Qui ci si adatta ai cambiamenti, ma non significa che il sentimento di alcuni sia mutato: si notano ancora gesti silenti e simbolici come persone che lasciano fiori su certi monumenti per ricordare le vittime, ma sono casi isolati».
Ma non vuol dire che vada tutto bene. Secondo i dati di Rosstat, nel 2022 il Pil reale è calato del 2,5 per cento annuo. Tra aprile e novembre, la produzione industriale, le vendite al dettaglio, gli scambi all’ingrosso nel mercato interno e il settore auto hanno tutti registrato pesanti passivi. Eppure, a novembre, i salari reali, adeguati all’inflazione, sono aumentati dello 0,3 per cento annuo e, a dicembre, la disoccupazione era ai minimi storici.
«Le sanzioni mordono ma non provocano i danni che i partner occidentali pronosticavano», afferma Ligorio. «Soprattutto perché dal primo pacchetto di sanzioni imposto nel 2014, la Russia ha preso le contromisure». I problemi veri riguardano invece i conti pubblici. «Il deficit aumenta, come certificano i dati ufficiali», aggiunge il professore. A gennaio, ha annunciato la governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, il deficit pubblico ha raggiunto i 25 miliardi di dollari. «Questo debito, finanziato anche con bond emessi verso Paesi come Cina e India, andrà ripagato e potrebbe produrre un effetto domino di medio/lungo periodo», sostiene Ligorio. «Alcuni comparti sono stati certamente colpiti più di altri: il settore degli idrocarburi sta subendo i maggiori danni, soprattutto per il nono e il settimo pacchetto di sanzioni (che hanno colpito l’export di oro e tecnologie duali, gli investimenti europei nel settore minerario e i comparti dei media, bancario e della difesa, ndr) ma non sta affatto collassando». «Le principali società energetiche registrano perdite fino al 25 per cento dei ricavi», ricorda l’esperto. «Però la Russia si sta orientando su altri mercati, che se ne approfittano, come l’India, comprando gas e petrolio a prezzi scontati». Insomma, almeno nel breve periodo, le sanzioni non fermeranno Mosca, anzi.
Pace vietata
Se il fine di queste misure è ostacolare l’invasione, il fatto che gran parte dell’Ucraina sia ancora libera è certamente un risultato – e non da poco – ma la guerra potrebbe farsi più difficile. «Le restrizioni hanno colpito solo alcuni settori della difesa russa, soprattutto quelli ad alta tecnologia», ci spiega il professore. «Ho avuto modo di parlarne con un ex generale russo, secondo cui la diretta conseguenza è il ricorso ad armi considerate obsolete ma che producono molti più danni collaterali, soprattutto per i civili». Per ora, viste le difficoltà dell’industria nazionale, è questa la soluzione adottata da Mosca che però, secondo Ligorio, non è ancora un’economia di guerra. «È un fatto tecnico, previsto dalla Costituzione russa, e decisamente non siamo a questo punto. Non posso escluderlo per il futuro, ma se Mosca dovesse arrivare a tanto lo farebbe per fronteggiare la Nato e non la sola Ucraina».
Nel breve periodo invece, l’alternativa in campo militare è trovare altri Paesi da cui importare tecnologie belliche ma finora, pare, sia disponibile solo l’Iran. «Parliamo di alcune batterie missilistiche, già in parte prodotte in partnership con la Russia, e di droni di scarso livello tecnologico», prosegue l’esperto. Tutte armi che non cambieranno l’esito del conflitto, che invece si evolve sempre più verso uno stallo prolungato. «Un altro fattore da considerare è la propensione all’autarchia della Russia, che sin dall’epoca sovietica è preparata agli attacchi esterni», ci spiega Ligorio. «Il problema è: qual è il senso di queste sanzioni? Colpire la Russia adesso? Nell’immediato non vedo risultati, che si produrranno più probabilmente tra qualche anno». Intanto, il Cremlino è pronto a trovare nuove sponde internazionali.
Con gli occhi degli altri
Il più recente esempio è il taglio alla produzione petrolifera concordato in sede Opec+, che consente a Mosca di tenere sufficientemente alti i prezzi evitando il tracollo di un’economia che dipende dall’export energetico. D’altronde è importante ricordare che i due terzi della popolazione mondiale vive in Paesi che non appoggiano direttamente Kiev. «Non dobbiamo guardare alla guerra solo dalla nostra prospettiva», afferma il docente. «Altri partner, come l’Arabia Saudita, non hanno alcun interesse a far crollare la Russia. Poi ci sono Stati, come la Turchia, che pur facendo parte della Nato mantiene una certa ambiguità. Lo stesso vale per l’Ungheria di Orbán. Ma tutti lo fanno per il proprio interesse».
E se il Paese, causa sanzioni, guarderà sempre meno all’Occidente, cercherà di costruire nuovi rapporti – non solo commerciali – con i mercati emergenti, soprattutto in Asia e Africa. «È una questione di sopravvivenza», afferma l’esperto. Come ha più volte annunciato il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, Mosca persegue “un nuovo e più giusto ordine”, con caratteristiche sempre più locali. «Non ci sarà – probabilmente – un ordine mondiale, ma dovremo abituarci a un assetto con alleanze variabili a livello regionale», sostiene Ligorio. «E questo conflitto ce l’ha confermato: c’è chi è alleato in alcuni campi con la Russia mentre in altri appoggia il blocco euro-atlantico. Se pensate ai Paesi arabi o ai Brics, viviamo già in uno status di globalizzazione e de-globalizzazione».
Le filiere di approvvigionamento o gli scambi internazionali – ci spiega – restano globalizzati ma al contempo si stanno creando, come in passato, forti blocchi regionali che tendono a escludere alcune zone del mondo. E la Russia ne è un perfetto esempio, anche se il tentativo di “decoupling” tra l’economia di Mosca e l’Europa potrebbe fallire. «Ci sono già triangolazioni che permettono di bypassare le sanzioni sul gas e sul petrolio russi. Parliamo del Paese più esteso del mondo con enormi risorse minerarie: com’è già successo, nel medio periodo i rapporti potrebbero normalizzarsi e si tornerà a usare la Russia come fornitore perché, su certe materie prime, resta insostituibile per l’Europa». E non certo per fare un favore a Mosca.
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